di Luca Diotallevi*
Pensiamo a due fatti. Il Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, niente di meno che nel messaggio di fine anno dice che le riforme si debbono fare e, come se non bastasse, aggiunge che per lo meno la seconda parte della Costituzione non è intoccabile, ma anzi dispone le procedure per il proprio aggiornamento. Parallelamente, tante voci autorevoli del mondo cattolico non solo sottolineano la opportunità di riforme delle istituzioni politiche, ma esprimono anche la coscienza di come l’insegnamento sociale della Chiesa offra principi rilevanti per orientare tali riforme.
Diamo un’occhiata, allora, a come questi principi possono generare oggi criteri adeguati ad una riforma da quasi tutti ormai giudicata inderogabile, e che proprio dei cattolici come Aldo Moro e Roberto Ruffilli avevano posto all’ordine del giorno sin dalla seconda metà degli anni ’70 ricevendo per questo una speciale attenzione da parte delle Brigate Rosse.
Quale significato hanno, chiediamoci, sussidiarietà e solidarietà, e più ingenerale, libertà e responsabilità, per le istituzioni politiche? E come ne orientano una prospettiva di riforma?
In breve …
1. La politica ha una funzione – allo stesso tempo – limitata ed insostituibile in vista della ricerca del bene comune. La politica non deve avere il monopolio del bene comune, ma non può neppure essere lasciata deperire al punto di divenire irrilevante. Come ha ricordato nel Te Deum di fine anno il cardinale Angelo Bagnasco, per la Dottrina sociale della Chiesa la politica contribuisce al bene comune assicurando l’ordine pubblico (ovviamente nella accezione che questo concetto ha nell’insegnamento della Chiesa).
2. Anche i poteri politici, dunque, hanno da essere limitati, responsabili, efficaci. Limitati, perché ne va accuratamente evitata l’onnipotenza; responsabili, ovvero assunti pro tempore da individui precisi la cui condotta politica (non solo penale) deve sempre essere personalmente imputabile e valutata dai cittadini sovrani, gli unici ad avere dei diritti “originari”; coerenti, sia per essere imputabili che per essere efficaci (un potere assembleare non è imputabile né efficace).
3. Infine, i poteri politici debbono essere limitati sia “verso l’esterno” (sussidiarietà orizzontale), non dovendosi sostituire a famiglia, imprese, scuole, chiese, e via dicendo, che “verso l’interno” (sussidiarietà orizzontale e verticale) non dovendo – ad esempio – il potere esecutivo controllare quello giudiziario (giudicante) e viceversa, né i poteri “centrali” quelli “locali”.
Chiunque capisce che la Dottrina sociale della Chiesa è incompatibile con la piramide dello “stato bulimico”.
Insomma: non basta questo per capire che il potere di un esecutivo (nazionale o locale) deve essere coerente (cosa che non può essere con un premier che sia solo “presidente di un consiglio dei ministri”)? Che deve essere controllabile da una opposizione la quale però non può pretendere di cogestirne l’azione?
E non basta questo per capire che non vi è sussidiarietà finché non vale a tutti i livelli che chi vuol fare qualcosa (sindaco, governatore di regione, premier) deve assumersi le proprie responsabilità di fronte al contribuente-elettore? E se politiche di solidarietà e perequazione possono esserci, ed a volte debbono esserci, anche di queste occorre assumersi una trasparente responsabilità.
E non basta questo a capire che chi è titolare di indagini non può essere nella stessa istituzione in cui sono anche coloro che dovrebbero da terzi (tra accusa e difesa) giudicare secondo diritto (e non solo secondo legge)?
E non basta questo per capire che chi lavora nella pubblica amministrazione non può godere di privilegi (rispetto ai cittadini e rispetto a chi lavora altrove) se non per la misura strettissimamente necessaria all’assolvimento con imparzialità delle sue funzioni secondo le indicazioni provenienti dal potere democraticamente legittimato da cui dipende e nei limiti degli ordinamenti e del diritto?
E non basta questo per capire che i partiti (e tutte le associazioni politiche indispensabili alla vita democratica) non possono essere centri di potere irresponsabili, ma strumenti a disposizione dei cittadini per animare la vita politica? E che dunque, innanzitutto, la contendibilità della guida dei partiti, il carattere democratico della scelta dei candidati e la trasparenza dei bilanci non sono affari interni al ceto politico ma interessi primari di tutti i cittadini? Perché è il diritto all’elettorato attivo di ciascuno che va rispettato ma non di meno anche quello all’elettorato passivo, e perché ogni cittadino è interessato ad avere sia una buona maggioranza democratica che una buona minoranza altrettanto democratica e deve sempre e dovunque poter decidere quando sia il caso di cambiar di funzione all’uno ed all’altro schieramento.
Davvero, l’insegnamento sociale della Chiesa offre uno straordinario contributo a chi opera per il completamento della transizione italiana ad una democrazia governante.
*Associato di Sociologia
Università Roma Tre
fonte: piuvoce.net