Fondazione FareFuturo: intervista a Giacomo Marramao

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Come ovviare a questa situazione contingente di perenne emergenza, a tutti i livelli, politico, sociale, di rapporti umani, che sovente produce riflessioni e pensieri dal fiato corto?

Penso sia giunto il tempo di ripensare profondamente i criteri di selezione delle elites che, come nell’ambito del sapere e della scienza, devono essere improntate più alle capacità che non alle fedeltà. Produrre idee e creare dimensioni nuove del vivere: cultura e filosofia sono un modo di porre i problemi, la politica un modo di risolverli. Qui abbiamo anche la chiave di una nuova alleanza tra i saperi e la politica, ma deve essere il ritorno alla “grande” politica il nodo da sciogliere. Parlo di un re incantamento, una politica che sia in grado di parlare anche simbolicamente ai singoli ed alle collettività, in grado di suscitare passione, di spingere i cittadini a reperire nuove forme di relazione. Capace di stimolare le generazioni ad instaurare un nuovo rapporto, perché uno dei drammi del nostro paese, che è causa della perenne emergenza, è che si è interrotto il rapporto tra le fasce sociali. Da un lato vedo la nostra generazione, formatasi nella seconda metà degli anni ’60, con il fatidico 1968. Esso non è stato una rottura del filo tra generazioni, ma la conferma che un rapporto intergenerazionale, polemico, esisteva. La polemica e il conflitto sono un modo di avere rapporti e di arricchirsi. Oggi invece vige un sistema dell’indifferenza, un’incomunicabilità tra le generazioni che pone problemi molto seri.

Far tornare a comunicare le generazioni per…

Per poter uscire dall’epoca delle passioni tristi, del futuro chiuso, imparando a teorizzare una grande politica che si traduca in progetti ariosi. In Italia abbiamo avuto un deficit di progettualità innegabile. La mia generazione, a partire dalla fine degli anni ’70, ha teorizzato la critica del progetto. Ricordo battaglie che ho condotto personalmente con Massimo Cacciari ed altri amici. Tal critica era sacrosanta in quanto il progetto in questione era ideologico. La critica del progetto ideologico non significa appiattimento della politica, disincanto cinico, piuttosto rilanciare un’idea di segno nuovo. E quando riusciremo a farlo potremo dire alla politica europea, benvenuta nel ventunesimo secolo. Fino  questo momento la politica europea, e non solo quella italiana, non ci è riuscita. Mi auguro di riuscire a superare questo stallo, questa miseria del nostro presente, per poter indicare all’Europa e al mondo le linee di una certa politica. D’altronde lo abbiamo fatto con successo all’epoca di Machiavelli, nell’800 con grandi pensatori, nel 1960 con la capacità di costituire un grande laboratorio politico seppur conflittuale. Dobbiamo ricominciare a fare innovazione e sperimentazione politica, e lo dobbiamo fare per il futuro. Di tutti.

tratto da: ffwebmagazine.it 30 settembre 2009

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