di Vincenzo Bassi (nella foto)*
Nella storia, la famiglia ha costituito e costituisce un anello di congiunzione tra passato e futuro, essendo il luogo principe del patto tra generazioni. Proprio partendo da questo innegabile dato, occorre impostare le future politiche, guardando alla famiglia, per esaltarne il ruolo sociale ed economico svolto all’interno della società.
In effetti, le politiche sulla famiglia spesso si riducono a politiche di emergenza familiare, in quanto si limitano a proporre un modello assistenziale statale strutturato non sul lavoratore in difficoltà, sull’indigente o sull’emarginato, ma sulla famiglia. Si tratta tuttavia di un’impostazione che ha contribuito a considerare (i) la famiglia un malato cronico, e (ii) la sua difesa l’interesse solo di una lobby (cattolica) a discapito di altre emergenze sociali.
Al contrario le politiche familiari si programmano pensando a ciò che comunemente, senza contrapposizioni, si condivide quando si pensa alla famiglia ovvero: a) da un punto di vista naturale, ogni persona ha un legame con un padre e una madre, senza i quali non sarebbe nata; b) da un punto di vista sociale, la famiglia è il primo luogo in cui ogni persona è stata educata ed ha imparato a rapportarsi con l’altro; c) la vita in famiglia costituisce la prima esperienza concreta di solidarietà; d) per il suo ruolo di ammortizzatore sociale la famiglia, intesa come società naturale fondata sul matrimonio, riveste una rilevanza costituzionale precisa (art. 29 della Cost.).
Partendo da queste premesse è facile comprendere perché non deve essere la società al servizio della famiglia ma la famiglia deve ritornare ad essere al servizio della società. Come?
Innanzitutto, una politica familiare, se considera la famiglia una risorsa per la società civile, deve aiutare la famiglia stessa a vivere e non sopravvivere. Sarebbe come se le politiche industriali si concentrassero solo sull’assistenza delle imprese in crisi, dimenticando di garantire alle imprese (anche a quelle in crisi) le migliori condizioni per realizzare i propri obiettivi, trovando le idee più competitive, creando nuovi posti di lavoro, e con il lavoro, il benessere per la società. Così facendo, le imprese in crisi falliscono, mentre le altre in generale soffrono. Per la famiglia è lo stesso.
L’obiettivo comune è perciò quello di creare un ambiente in cui le famiglie possano aiutare i loro componenti a trovare la propria realizzazione e il proprio sostegno.
Ovviamente non sono immaginabili interventi normativi che, facendo violenza sulle scelte di ciascun individuo, impongano la famiglia come unica forma di aggregazione sociale. Occorre tuttavia una legislazione che metta in risalto, senza confusioni, l’unicità della famiglia (secondo la definizione costituzionale), e l’importanza del suo ruolo sociale ed economico. Proprio per questa funzione sociale ed economica (sussidiaria alle istituzioni pubbliche) sarebbe doverosa una normativa fiscale che, escludendo da tassazione le somme utilizzate dalla famiglia per il suo sostentamento e sviluppo, riconosca alla famiglia una sua autonoma soggettività tributaria.
Inoltre, poiché le famiglie, come le imprese sociali (oppure, secondo una certa dottrina economica, come le imprese civili), erogano servizi alla persona e sono perciò soggetti che non solo consumano ma anche investono creando valore e ricchezza, si auspicano iniziative di (micro)credito per specifici investimenti familiari (istruzione, salute, assistenza etc.). Una più efficiente gestione finanziaria delle famiglie (possibile soprattutto con l’aiuto delle banche) aiuta infatti una più efficiente gestione delle risorse economiche e dei servizi che, allo stesso modo di una qualsiasi impresa, le famiglie forniscono a favore dei suoi componenti. La migliore capacità di spesa dovrebbe infine stimolare le imprese a fornire alle famiglie, servizi sempre più efficienti ed economici.
Un ruolo strategico in questo contesto deve essere svolto dalle realtà locali. L’attuazione del principio di sussidiarietà impone infatti alle istituzioni (ivi incluse quelle locali), il coinvolgimento della società civile, e quindi delle associazioni familiari, nella programmazione delle politiche sociali e familiari; in quella sede sarebbero auspicabili concrete iniziative di educazione alla bellezza della famiglia (magari quella unita una vita intera).
Solo così si potrà combattere la cultura consumistica contemporanea che ci rappresenta la famiglia come una limitazione alla libertà personale. Ma non solo, l’esperienza delle famiglie aiuterà in modo efficiente e mirato (i) ad affrontare le emergenze sociali, rimuovendo le cause di disagio, (ii) ad individuare i bisogni reali della società civile, e (iii) a prevedere forme di mutua assistenza sociale e familiare (p. es. la costituzione di associazioni al fine di agevolare la concessione di prestiti alle famiglie).
In conclusione quindi valorizzare la famiglia significa perseguire il bene comune, in quanto aiuta la risoluzione delle emergenze sociali promuovendo il benessere della società civile.
* Avvocato – Studio Legale e Tributario Di Tanno & Associati Roma