Sono passati già dieci anni da quando il Ministero della Salute ha stabilito che tutti i dati e i documenti sociosanitari degli utenti del Servizio Sanitario Nazionale avrebbero dovuto essere salvati in un database online, a cui avrebbero potuto avere accesso solo i clinici e ovviamente i cittadini interessati. Erano gli anni in cui il tema della privacy, soprattutto quella sanitaria, rientrava spesso e volentieri nell’ordine del giorno nell’agenda politica italiana.
Da quel momento ci vollero mesi e anni prima che le Regioni, inizialmente contrarie all’idea di uniformarsi ad un unico sistema di Fascicolo Sanitario Elettronico progettato da Sogei, società di Information Technology controllata interamente dal Ministero dell’Economia e delle Finanze, decidessero di mettersi in pari e adeguarsi alla novità. Quattro Regioni su venti – Campania, Abruzzo, Sicilia e Calabria – hanno deciso di aderire al cosiddetto fascicolo di sussidiarietà. Le altre hanno optato per la creazione in autonomia di un portale regionale proprio.
In molte Regioni però questo strumento, ormai conosciuto e apprezzato dagli utenti digitalmente aggiornati, non dialoga ancora con il sistema informatico utilizzato dai medici di base per registrare pazienti e prestazioni. Oltre a non essere univoco a livello regionale dal punto di vista tecnico e operativo. Eppure, la piena attuazione delle potenzialità contenute nella attuazione del fascicolo sanitario elettronico in tema di sanità digitale è una condizione necessaria alla realizzazione stessa degli obiettivi del PNRR. Questo strumento, senza il quale la telemedicina non avrebbe modo di esistere, è senza dubbio il simbolo della sanità del futuro.
Il Fascicolo Sanitario Elettronico in numeri nelle diverse Regioni
Il Fascicolo Sanitario Elettronico (FSE) è l’insieme dei dati e documenti digitali di tipo sanitario e sociosanitario generati da eventi clinici presenti e trascorsi, riguardanti l’assistito. Ha un orizzonte temporale che copre l’intera vita del paziente ed è alimentato in maniera continuativa dai soggetti che lo prendono in cura nell’ambito del SSN e dei servizi sociosanitari regionali.
Il livello di avanzamento e di diffusione sul territorio nazionale del FSE è monitorato dall’Agid, l’Agenzia per l’Italia Digitale, che sul sito fornisce dati e numeri in tempo reale. Ad ottobre 2021 risultano attivi 21 fascicoli sanitari nazionali, di cui 4 in regime di sussidiarietà per un totale di 57 milioni e 462.339 fascicoli attivi che fino ad ora hanno permesso di digitalizzare oltre 330 milioni di referti. Lombardia, Valle D’Aosta, Toscana, Abruzzo, Puglia, Calabria e Sicilia hanno attivato il 100% dei profili. La maggior parte delle altre Regioni sono vicine a quota 100% mentre Liguria e Umbria registrano dei livelli di attuazione rispettivamente dell’82 e dell’85%, seguite dal 92% della Basilicata.
Figura 1. Monitoraggio utilizzo del FSE da parte dei cittadini
Fonte: Agid
Queste percentuali, che indicano il livello di attuazione dei piani elettronici nelle varie regioni, non dicono però nulla (essendo talvolta totalmente disallineati) rispetto al livello di utilizzo di questo strumento dal punto di vista degli utenti finali. I livelli di utilizzo mostrano invece che nell’ultimo trimestre del 2021 sono pochissimi i cittadini che hanno fatto utilizzo di questo strumento: nessuno in Abruzzo e Molise; appena 27 in Calabria, solo 11 in Lazio e appena 51 nella digitalizzata Lombardia. Il dato presentato nella Figura 1 si riferisce all’accesso da parte del cittadino al proprio FSE almeno 1 volta negli ultimi 90 giorni.
Figura 2. Monitoraggio attuazione FSE nelle Regioni italiane
Fonte: Agid
Una recente ricerca dell’Osservatorio Innovazione Digitale in Sanità del Politecnico di Milano che ha indagato su come stiano andando le novità digitali conquistate obbligatoriamente durante la pandemia ora che l’emergenza è alle spalle ha fatto emergere che il FSE è ancora ben lontano dall’essere uno strumento conosciuto e apprezzato dalla maggioranza degli italiani. Dalla ricerca sembra infatti che solo il 38% degli italiani ne abbia sentito parlare e che solo il 12% ne faccia effettivamente uso. Nemmeno l’effetto pandemia, che ha dato un impulso del 5% alla spesa sanitaria digitale (circa 25 euro in più per ogni cittadino), per ora sembra aver fatto da traino per portare le potenzialità del FSE fuori dal cono d’ombra in cui è rimasto negli ultimi 10 anni.
“A oggi il Fascicolo risulta attivo in tutte le Regioni italiane e con un grado di attuazione vicino al 100% e i FSE sono ormai attivati per quasi tutta la popolazione italiana (oltre 57 milioni di FSE), ma riteniamo che le sue potenzialità siano decisamente poco sfruttate”, ha confermato anche Chiara Sgarbossa, direttrice dell’Osservatorio Innovazione digitale in Sanità del Politecnico di Milano, punto di riferimento per le ricerche sulla sanità digitale in Italia.
“Uno dei principali benefici potenziali del FSE è, infatti, quello di consentire al cittadino di accedere a tutti i documenti e alle informazioni sanitarie riguardanti la propria storia clinica e, allo stesso tempo, permettere ai professionisti sanitari che lo hanno in cura di visualizzare queste informazioni per avere sotto controllo il suo stato di salute e poter prendere decisioni più mirate relativamente al processo di cura e assistenza – ha proseguito Sgarbossa -. La disponibilità sulla piattaforma di referti e documenti prodotti dalle aziende sanitarie che hanno in cura il paziente è quindi un tassello fondamentale per ottenere tale beneficio: dai dati del monitoraggio di Agid risulta che il processo che abilita l’alimentazione del FSE si è praticamente concluso per le aziende sanitarie di Veneto, Emilia-Romagna, Toscana, Friuli Venezia Giulia e Provincia Autonoma di Trento, mentre molte Regioni (Abruzzo, Basilicata, Calabria, Campania, Marche, Molise, Umbria e Provincia Autonoma di Bolzano) hanno percentuali di alimentazione prossime allo zero, di fatto non dando la possibilità ai cittadini di trovare i propri referti all’interno del proprio FSE”.
Dalle divisioni regionali all’ottica europea
Il fatto che ogni regione italiana abbia un suo sistema informatico di riferimento per il FSE, ad eccezione di quelle che hanno scelto il regime di sussidiarietà, non significa che il fine ultimo a livello nazionale e sovranazionale non sia quello di creare uno strumento utile a raccogliere dei dati sanitari da rendersi disponibile anche fuori dai confini regionali o nazionali. L’Unione Europea sta infatti lavorando a un progetto per garantire l’assistenza sanitaria transfrontaliera. Gli Stati Membri dell’Unione Europea si stanno coordinando per mettere a punto una serie di strumenti digitali che si avvalgono di una rete informatica in grado di assicurare l’interoperabilità dei servizi di sanità elettronica attraverso il programma europeo Connecting Europe Facility (CEF).
L’Unione Europea sta lavorando a un progetto per garantire l’assistenza sanitaria transfrontaliera
Non appena in atto, questo programma garantirà per tutti i cittadini europei la possibilità di utilizzare i documenti contenuti nel FSE in qualunque stato membro si trovino, facilitando e migliorando il servizio sanitario europeo al cittadino.
Allo stesso tempo nell’agenda dell’Agid c’è la realizzazione di una Piattaforma Unica Nazionale dei Dati Sanitari che sia interoperabile e che consenta di gestire i dati contenuti nei singoli FSE regionali in modo centralizzato. Questa è la direzione tracciata anche dal PNRR, secondo cui “entro il 2021 è prevista la predisposizione di piani regionali e della pubblica amministrazione centrale per il rafforzamento del FSE ed entro il 2022 il completamento di studi di fattibilità per la realizzazione dei nuovi flussi a livello nazionale e regionale”.
“Nella ricerca dell’Osservatorio Sanità digitale emerge che tra coloro che non hanno ancora utilizzato il FSE, la principale motivazione sta nel fatto che i cittadini non sapessero della sua esistenza (60%), mentre sembra essere meno rilevante la barriera legata alle credenziali per effettuare l’accesso, probabilmente per via del fatto che tra gli strumenti di accesso c’è SPID che è ormai stato attivato da circa il 40% della popolazione italiana – ha commentato Sgarbossa –. Proprio la limitata consapevolezza dell’esistenza del FSE rappresenta un elemento di grande debolezza e una barriera a una sua piena diffusione. Affinché il FSE possa diffondersi sarà importante, nei prossimi mesi, investire sul potenziamento delle campagne di comunicazione ai cittadini. Su questo fronte, infatti, lo stesso MEF ha assegnato alle Regioni un obiettivo specifico e un finanziamento di 1,6 miliardi di euro per promuovere tali attività (sul periodo 2018-2021). Anche su questo fronte, il 2020 ha in parte bloccato la campagna di comunicazione e sarà quindi importante che nel 2021 si proceda a passo spedito sia nel processo di arricchimento del FSE di dati e documenti, sia nel potenziamento delle attività di promozione del suo utilizzo da parte dei cittadini”.
Obiettivo 2026: 1 miliardo di documenti sanitari digitalizzati
Il PNRR prescrive, entro il 2026, la digitalizzazione di 1 miliardo di documenti sanitari. L’obiettivo è anche quello di implementare, entro il 2024, due nuovi flussi informativi a livello nazionale e regionale, oltre che l’infrastruttura tecnologica e applicativa del Ministero della Salute Pubblica attraverso l’attivazione di piattaforma e portale Open Data che aprirebbero la strada a nuovi modelli di previsione della spesa sanitaria sui cosiddetti dati “real world”.
“Il FSE è nato 10 anni fa dall’esigenza di tutelare i dati dei cittadini, più che dall’idea lungimirante di raccogliere i dati a disposizione per utilizzarli come indicatori sanitari o economici”, ha commentato Gianluca Postiglione, già CFO di Soresa Spa, membro del gruppo di lavoro Agid sull’Ecosistema Intelligenza Artificiale in Italia e membro dell’Advisory Board Osservatorio Masan Acquisti in Sanità Cergas-SDA Bocconi. “Ora la consapevolezza e le esigenze sono cambiate. I tanti fondi messi a disposizione dal PNRR e il suo legame con la telemedicina dimostrano come il FSE sia da ripensare nel suo ruolo di raccoglitore di dati digitali a cui è facile avere accesso”.
In questa logica i calcoli sulla spesa sanitaria potrebbero essere ripensati nell’ottica delle reali esigenze dei singoli, con approccio più preciso e personalizzato: “Come faccio ad erogare prestazioni adeguate ai bisogni del singolo se non posso avere accesso ai suoi dati sanitari? – ha concluso Postiglione – I dati sono la risorsa più preziosa che il SSN possiede, a condizione di operare un cambio di paradigma: il nuovo approccio deve guardare ai dati non come output per rendicontare la prestazione agli stakeholder competenti ottenendo la remunerazione della prestazione e il bollino di qualità (LEA) ma come input, come risorsa principale per configurare una prestazione “centrata” per il singolo paziente, cui andranno “prese le misure” per tarare il tipo di prestazione sociosanitaria necessaria, spendendo esattamente ciò che serve al singolo”.
Attori e fattori in gioco: il ruolo dei medici di medicina generale
I medici di medicina generale, in quanto attori in prima linea nel rapporto fra i pazienti e Servizio Sanitario Nazionale, hanno sicuramente un ruolo fondamentale nel processo di inserimento di dati e informazioni relativi al paziente sul FSE, attraverso il Patient Summary (o Profilo Sanitario Sintetico – PSS) degli assistiti.
“Dai dati a disposizione – ha affermato Sgarbossa –, risulta che in quasi la totalità delle Regioni i Patient Summary all’interno dei FSE non sono stati caricati, ad eccezione di Sicilia, Umbria e Valle d’Aosta. Dalle interviste svolte con alcune Regioni, è emerso che si sta lavorando sull’integrazione delle cartelle cliniche dei medici di famiglia con il FSE, così da automatizzare il più possibile il passaggio di informazioni sul paziente dai sistemi utilizzati dal medico a quelli regionali. Si tratta, tuttavia, di un processo ancora senza evidenze di risultato e che nel 2020 ha avuto un ulteriore blocco a causa della pandemia, che ha spinto le Regioni a dedicare i propri sforzi, in termini di risorse umane ed economiche, su altri aspetti prioritari legati all’emergenza stessa come sistemi di sorveglianza e sistemi di prenotazione vaccini.
Nel processo di digitalizzazione sanitaria appare chiaro che serve un lavoro di concertazione che deve partire dalle istituzioni e coinvolgere in primis il personale medico sanitario
Nel processo di digitalizzazione sanitaria appare quindi chiaro che serve un lavoro di concertazione che deve partire dalle istituzioni e coinvolgere in primis il personale medico sanitario. Le campagne informative ministeriali non possono infatti sostituirsi, a livello di efficacia e di impatto, al delicato ed importante ruolo che possono e devono giocare i medici di base, ma anche il personale ospedaliero, nell’informare accuratamente i propri pazienti a proposito delle nuove risorse, spingendoli a conoscere e utilizzare sempre di più gli strumenti della sanità digitale”.