di Flavio Felice*
Il Paese sembra dilaniato da alcune questioni di grande impatto sociale e culturale. La battaglia referendaria della scorsa primavera (anno 2008, ndr) ha scatenato una sorta di “laicistico” spirito di rivalsa. Selezionando il ventaglio delle questioni che andrebbero sotto la categoria “laicità”, vorremmo invitare i lettori alla riflessione sul tema della famiglia. La famiglia tradizionale, quella per intenderci eterosessuale, aperta alla vita. Il forte richiamo a questo tipo d’unione può avvenire sul versante morale, oppure sotto il versante economico-politico: per ragioni professionali propendo per il secondo. In un recente passato è prevalsa un’idea di famiglia che, in fondo, si sarebbe dovuta inverare in qualcosa di più grande, di più Vero. L’analisi marxista (e con essa una certa teologia della liberazione), capovolgendo lo schema struttura-sovrastruttura, ha interpretato anche la famiglia come un prodotto storicamente determinato dai rapporti di produzione ed una tipologia sociale utile (Vera) nella misura in cui si sarebbe mostrata funzionale al progetto rivoluzionario. Di conseguenza, la famiglia ha finito per perdere la sua natura di “unità naturale” morale, politica, ed economica (è evidente sacramentale, ma non è questo il punto); un’“unità” avente valore in sé, a prescindere dal potere coercitivo che via via la avrebbe dovuta legittimare. Un potere coercitivo che, nelle varie fasi della storia dell’umanità, per ragioni d’ordine utilitaristico, le avrebbe assegnato il giusto posto ed il giusto ruolo nello svolgimento necessario della storia. Sotto il profilo economico, lo sfaldamento della famiglia tradizionale è stato analizzato da alcuni studiosi come l’esito del crescente peso assunto al giorno d’oggi da un sistema di sicurezza sociale nel quale “dominano le logiche burocratiche”, che nelle intenzioni di alcuni suoi più radicali sostenitori avrebbe dovuto sostituire la famiglia tradizionale, vista come ostacolo borghese all’inveramento nella “società civile” (hegelianamente intesa), la quale si sarebbe dovuta a sua volta inverare nello Stato. Il peso enorme del welfare state avrebbe dovuto far emergere in tutta la sua fragilità la famiglia tradizionale, fatta di persone in carne ed ossa, con più vizi che virtù. Lo Stato assistenziale, invece, si sarebbe dovuto proporre come un padre di famiglia virtuale, certo insaziabile di tributi, ma nello stesso tempo un padre generoso ed illuminato, l’idealtipo del buon padre di famiglia, quello che non dice mai di no. Il padre virtuale avrebbe dovuto uccidere il padre naturale e con lui l’intera famiglia. Il padre virtuale è asettico e onnipotentemente buono, come asettica e “buonista” la società che da esso si è preteso che scaturisse. La dottrina sociale della Chiesa ha sviluppato il suo pensiero sociale su famiglia e sistema economico, riconoscendo la superiorità morale del sistema imprenditoriale. Accanto a questa consapevolezza, tuttavia, dobbiamo rilevare che lo stesso Giovanni Paolo II ci mette in guardia, dicendo che prima ancora della logica del mercato, c’è qualcosa che è dovuto all’uomo in quanto uomo e, per l’allocazione di certi beni, non valgono le dinamiche del mercato. Forse ciò significa che in questi casi deve intervenire il padre virtuale? Credo di no! O almeno non necessariamente. Con queste parole il Pontefice ha inteso rimarcare il fatto che la famiglia fa parte di quell’ordito sociale i cui soggetti sono chiamati a rispondere in prima persona, in piena sintonia con il principio di sussidiarietà. Fare della famiglia una “unità” economica, significa in primo luogo invitare le autorità pubbliche a ridimensionare il paternalismo di Stato e a sviluppare il paradigma dell’autogoverno. Le politiche fiscali dovrebbero trattare la famiglia come un’unità sovrana e non come una somma di contribuenti atomizzati. Per questa ragione, dovremmo auspicare l’inserimento del “quoziente familiare” (il carico fiscale andrebbe commisurato al numero dei membri che compongono il nucleo familiare). Credo si tratti di un’elementare forma di giustizia contributiva, una prospettiva politica che aiuti il paese ad uscire dalle secche nelle quali si trova: sempre che a qualcuno interessi ancora uscire dalla palude!
*Professore di “Dottrine Economiche e Politiche” alla Pontificia Università Lateranense di Roma
*Componente “Commissione sussidiarietà” della Regione Abruzzo
fonte: acton.org