Claudio Risè: La società non può fare a meno del padre

il_padre.jpgI padri italiani sono i più negligenti d’Europa, con meno di mezz’ora al giorno dedicati ai propri figli. Così stabilisce una recente ricerca condotta su un campione europeo: sono dati che certamente devono far riflettere sulle motivazioni di questo poco interesse.
Per avere una visione oggettiva del fenomeno ci siamo rivolti a Claudio Risé, psicoanalista, scrittore, docente universitario che con gli uomini italiani dialoga tutte le settimane dalle colonne di Psiche lui, la popolare pagina di Io Donna, il supplemento settimanale del “Corriere della Sera”.
Risé è stato il primo in Italia a introdurre il tema della crisi del maschile, visto in chiave psicanalitica. Il suo ultimo libro sui maschi: Essere uomini (Red edizioni), è oggi alla terza edizione. E sta per uscire presso l’editore Frassinelli un nuovo saggio (scritto con la moglie, il medico Moidi Paregger): Donne selvatiche. Forza e mistero del femminile.

Professor Risé, è vero che i padri italiani sono così negligenti? E perché?

«Ci sono molte ragioni, in parte psicologiche, in parte economiche. Dal punto di vista psicologico l’Italia, paese mediterraneo, è in gran parte sotto l’influsso dell’Archetipo della Grande Madre, una forza dell’inconscio collettivo (e quindi condizionante la cultura dominante), che tende ad estendere nell’educazione dei figli il potere della madre rispetto a quello del padre. In questa configurazione psicologica gli stessi maschi adulti tendono a viversi più come figli delle loro compagne, cui quindi rivolgono continue richieste di conferma affettiva, piuttosto che come mariti, e padri dei propri bimbi, con cui spesso si sentono in concorrenza. Ci sono però altri aspetti. Da una parte l’Italia è probabilmente il più “americanizzato” dei paesi europei, e dunque quello dove i padri sentono più fortemente, come negli USA, l’imperativo di fornire la maggior quantità possibile di reddito monetario alla famiglia.
Quindi lavorano molto, ed hanno poco tempo di stare coi figli. D’altro lato, nel caso di famiglie di separati, l’Italia applica una legislazione particolarmente punitiva nei confronti dei padri, che possono passare pochissimo tempo coi figli, anche quando desidererebbero farlo. Anche in questa bizzarria, che vede la madre come destinatario privilegiato dell’affidamento dei figli, anche già adolescenti, vediamo, dal punto di vista dell’inconscio collettivo, un effetto del potere esercitato, anche sulla prassi giudiziaria, dall’Archetipo della Grande Madre cui ho accennato prima».

Ma i  padri non hanno responsabilità nell’assenza nei confronti dei figli?

«I padri italiani, come quelli di tutto l’Occidente, hanno da un certo periodo storico (l’industrializzazione) in poi messo in secondo piano la famiglia, per impegnarsi totalmente nel lavoro e nella carriera. Nel paese che è un po’ il pesce pilota dell’Occidente, gli Stati Uniti, il tempo libero dei dipendenti maschi é diminuito del 20% dagli anni Trenta agli anni Ottanta. Oggi il tempo per crescere i figli i padri non ce l’hanno più. D’altra parte solo oggi si riscopre che la funzione educativa del padre è importante. Per molti decenni, tutto ciò che si riferiva al padre è stato definito con aggettivi dispregiativi che tendono a svalutare il mondo dei comportamenti paterni: paternalista, patriarcale. Per almeno cinquant’anni è come se il padre nel mondo occidentale contemporaneo fosse diventato d’impiccio: l’uomo adulto è stato apprezzato come funzionario aziendale, o come consumatore, ma non doveva pretendere di “fare il padre”».

Quali sono stati gli effetti di questa situazione?

«Simbolicamente il padre è colui che, con la sua presenza e la sua azione, costruisce un ponte tra i figli che crescono, e la società in cui devono entrare. Mentre nella famiglia la madre esprime innanzitutto il mondo degli affetti e dei bisogni. Il padre è l'”iniziatore” alle norme, alla disciplina che dobbiamo esercitare su noi stessi, e all’autorità che dobbiamo riconoscere alla società. Tutti valori fortemente contestati per molto tempo, a favore di quelli dell’appagamento immediato e del piacere.
Il risultato è che  oggi, in una situazione di assenza paterna, si fatica a rispettare norme valide per tutti, ogni piccolo sforzo viene considerato enorme e l’autorità viene vissuta, come un  sopruso
».

C’è anche un aspetto religioso, nel “mestiere del padre”?

«Certo. Il padre che svolge correttamente la propria funzione attiva nell’individuo giovane, nel figlio (o nell’allievo che lo vive come padre), la capacità di relazione con la dimensione sovrapersonale, trascendente. E’ coltivando questo aspetto psichico che l’individuo viene messo in grado di sviluppare la relazione con Dio».

La tendenza è al peggioramento, o qualcosa sta cambiando?

«Come sempre nelle situazioni estreme, nelle quali la stessa vitalità del gruppo umano è a rischio (la difficoltà a riprodursi del maschio occidentale è ormai attorno al 45%), l’istinto di conservazione sviluppa forti controreazioni. Tutta la società si è accorta che non può fare a meno del padre, e questi stessi sondaggi, preoccupati per la sua assenza, lo rivelano. Ma soprattutto, il comportamento e la sensibilità degli uomini-padri va riscoprendo il significato  della loro funzione educativa.
Nelle separazioni, sfortunatamente in aumento, i mariti che chiedono l’affidamento dei figli sono sempre più numerosi.
Anche a livello sociale la pratica dell’affidamento congiunto si diffonde, ed è pronta una legge che propone di farne la  prassi generalmente seguita. Dalla mia pratica di psicoanalista, e dal mio impegno per una nuova coscienza maschile, credo di poter dire che è in netto aumento, nei giovani uomini, la consapevolezza dei valori della famiglia, degli affetti, e dell’educazione dei figli, rispetto a quelli dell’edonismo e dei cosiddetti “simboli di status”, in pratica indotti dalla società dei consumi. Insomma: il padre torna a casa. E la società si è accorta che non può fare a meno di lui».

fonte: L’Eco di Bergamo
autore: Massimo Centini

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