di Mario Unnia
C’è un gran discutere di professioni, tra chi vuole l’ordine o si accontenta del ‘riconoscimento’ pubblico dell’associazione. Insomma, tutti a fare gruppo, convinti che nel gruppo stia la salvezza. Avremo dunque altri sindacati camuffati da ordini e da associazioni, dotati di poteri selettivi garantiti dalla legge e dagli accordi tra lobby. È proprio questo che serve alle professioni?
Penso di no. A mio parere le professioni necessitano di un meccanismo di governo che non si esaurisca nei dettati delle leggi né nelle procedure rappresentative interne. L’esperienza ha dimostrato che leggi e rappresentanza non hanno evitato l’involuzione delle professioni verso strutture chiuse, autoreferenziali, clientelari. In questo favorite da politiche di destra e di sinistra. Il meccanismo di governo va dunque cercato altrove.
Occorre guardare ai processi di formazione delle élite, a cominciare dai dibattiti socratici, per poi passare all’esperienza degli ordini monastici, alle procedure selettive dei salotti seicenteschi, dei club settecenteschi, delle associazioni coperte dell’Ottocento, dei circoli del Novecento, delle fondazioni degli ultimi trent’anni (mi riferisco non alle nostre fondazioni, bancarie e partitiche, bensì alle fondazioni americane che selezionano le classi dirigenti).
Se si percorrono, seppur a volo d’uccello, le esperienze richiamate, ci si accorge dell’elemento comune: ogni ambito di attività, dalla politica agli affari, dalla scienza alla cultura, dispone di meccanismi di cooptazione selettiva della dirigenza ‘che conta’. Questi meccanismi sono di due tipi : uno è conforme ai valori morali della società, in primis equità e giustizia, l’altro si richiama invece ad un paradigma morale del tutto contrapposto. Il meccanismo auspicato è quello virtuoso che si affianca ai poteri e ai meccanismi formali, li condiziona, li corregge, li denuncia quando deviano dall’etica e, non ultimo, è punto di riferimento per le giovani leve e tutela del ricambio generazionale.
L’elitarismo professionale è pienamente compatibile con le procedure democratiche, anzi ne corregge le deviazioni. La cooptazione selettiva della dirigenza reale, quella che conta, di fatto garantisce la continuità del valore professionale al di là dell’avvicendamento della rappresentanza e delle incongruenze delle leggi. In assenza di questo meccanismo l’entità partito, associazione, sindacato, ecc. tende a involvere in un apparato protetto, in una consorteria.
Che cosa si intende per elitarismo professionale e per cooptazione selettiva? Occorre introdurre la distinzione tra classe dirigente e classe di governo. L’elitarismo produce la classe dirigente, la legge e le rappresentanze producono la classe di governo. Può succedere che le due coincidano, ma è assai raro. Perché la seconda guarda e persegue il potere, mentre la prima guarda e persegue il prestigio.
Il potere è comune ai vertici degli ordini e delle associazioni professionali, e ne costituisce il legante: il prestigio è comune all’eccellenza interna ad ogni professione, e ne costituisce il legante. L’accademia è l’architrave che dovrebbe ospitare il prestigio e proteggerlo, ma troppo spesso non lo fa.
Questo, a mio parere, è il nocciolo del dibattito che andrebbe aperto sul fronte delle professioni: col rischio naturalmente di sentirsi dire che da noi la cooptazione selettiva va bandita perché è un vizio nazionale. Eppure occorre avere il coraggio di porre il problema.
fonte: chicago-blog.it