Precisato che il lobbying, in senso stretto considerato, è essenzialmente azione informativa e che quindi prende le mosse da dati e conoscenze acquisite ed oggetto di possibile trasmissione; precisato anche che il termine intelligence non si riferisce tanto e soltanto ad operazioni di carattere spionistico, possiamo verificare che i due campi di attività posseggono rilevanti analogie se non possibili sovrapposizioni.
R. Steele definisce in questo modo l’attività che si descrive con il termine intelligence: “ .. il sistema delle informazioni che sono state deliberatamente scoperte, selezionate, sintetizzate e portate a conoscenza (trasmesse) ad un particolare decisore o ad un organismo decisionale (pubblico o privato) al fine di facilitare una decisione che possa comportare conseguenze rilevanti di natura politica, economica o sociale”.
Ancor meglio rispetto alla finalità che ci si propone in questa sede risulta un’ulteriore definizione di intelligence: “.. una compilazione ed analisi di dati ed informazioni fornite da una fonte umana e tecnologica che (comunque) possieda la capacità di prevedere e rendere chiara una visione di intenzioni, capacità, attività; così come di queste le possibili implicazioni e conseguenze” (Shaker – Gembicki)
Come si può notare il punto focale dell’attività di intelligence è quello di fornire supporto previsionale e decisionale tempestivo (at the right time) a coloro che avendone la responsabilità debbono assumere delle decisioni rilevanti sotto diversi profili.
C’è di più: ciò che qualifica meglio l’operatore di intelligence non è tanto la capacità di fornire l’informazione, quanto la capacità preventiva di trattamento e di analisi del quadro d’insieme in cui l’informazione si deve collocare ed assumere significato, cui si aggiunge la capacità espositiva sempre più spesso one-shot.
Il semplice dato è una parte o porzione sparsa di conoscenza.
L’informazione è “semplicemente” una raccolta di dati o di parti di conoscenze.
L’analisi è già qualcosa di più, perché mette in relazione e comparazione le informazioni.
L’intelligence infine è tutto questo con, assommata, la capacità di fornire interpretazione e previsione.
Ora, non c’è alcun dubbio che l’azione di lobbying (diretto), svolta nel modo più professionale ed alla luce dei rigorosi quadri etici che la debbono contraddistinguere, a questo fine sia orientata: fornire al decisore pubblico non solo una “nuda” informazione sugli ambiti di intervento e sul gioco degli interessi che in essi si sviluppa, bensì offrire anche chiavi interpretative, ed infine previsionali, sull’impatto della decisione.
Come si può notare le analogie sono significative.
A questo punto tuttavia non è irrilevante sottolineare che le basi informative tanto del lobbying quanto di ciò che abbiamo inteso come intelligence non possano che essere di carattere legale, ed ancor prima di fonte ed utilizzo eticamente compatibili.
Da qui l’importanza essenziale di autodisciplina degli operatori sia di intelligence che di lobbying di definizione di puntuali regole di condotta per evitare pratiche che, a prescindere dalla formale ed astratta liceità dei comportamenti, possano alla fine tradursi in fatti contrari ad interessi particolari o generali della comunità.
Da qui anche l’importanza per la committenza di assicurarsi che chi riceve mandati di questo tipo, sia che si tratti di endo-lobbying che eso-lobbying, abbia uno statuto professionale e deontologico di massima garanzia.
Pratiche da press agentry, relazioni pubbliche di basso profilo o, peggio, l’utilizzo di informazioni provenienti da fonti illecite o negoziazioni basate su interessi personali, in breve porterebbero a squalificare il soggetto o l’organizzazione che assume l’iniziativa di partecipazione informata, e così pure l’interlocutore pubblico o privato posto nella posizione ricevente e decisionale.
In sede esecutiva risulterebbe alla fine molto difficile mascherare presso l’opinione pubblica e la comunità politica ed economica l’artificio posto in essere, a prescindere da eventuali risvolti giudiziari.
Per quanto concerne gli aspetti teorici e rispetto all’autonoma disciplina scientifica che oggi (timidamente) anche nel nostro Paese cerca di definire che cosa sia il lobbying (detto anche: relazioni istituzionali), e che colloca in apposito spazio di trattazione quella che viene denominata lobbying-intelligence – intendendo questa in modo più o meno approssimato come “analisi di pre-mercato”, o meglio ancora analisi complessiva in ambiente pubblico e privato delle minacce ed opportunità per l’organizzazione – parrebbe possibile affermare che in realtà tutto il ciclo dei comportamenti, delle indagini, delle relazioni, delle azioni che contraddistinguono il lobbying è quindi, alla fine, un’attività di intelligence.
autore: Maurizio Benassuti R.
fonte: comunitazione