L’economista d’impresa Marco Vitale presidente del nuovo Fondo italiano d’investimento: «Aiuteremo chi crea lavoro»

marco_vitale.jpg«È il lavoro la grande priorità, il tema da riportare al centro dell’agenda. Per questo, io credo che il fondo italiano d’investimento dovrà guardare con particolare attenzione alle imprese che abbiano piani di sviluppo interessanti, ma soprattutto in grado di generare occupazione».
L’economista d’impresa Marco Vitale, 74 anni, è stato chiamato alla presidenza del Fondo italiano d’investimento, iniziativa di sostegno alle Pmi italiane frutto della collaborazione tra Tesoro, Confindustria e sistema bancario. A fine mese (lo scorso aprile, ndr) il cda della Sgr approverà la documentazione necessaria per far nascere il fondo, avviando l’iter presso la Banca d’Italia.
«Entro settembre – spiega Vitale – partiranno i primi investimenti, e personalmente mi riterrei molto soddisfatto se entro la fine dell’anno si potesse avviare una cinquantina di operazioni».
Azioni “miste”, in parte attraverso investimenti diretti nel capitale delle imprese, in parte utilizzando fondi di fondi che a loro volta realizzano le singole operazioni.
«Il Consiglio – chiarisce Vitale – dovrà avere poteri incisivi, servirà certo una sede più ristretta per valutare le operazioni minori ma mi sono opposto alla creazione di una sorta di governance “duale”, con un comitato esecutivo dotato di prerogative eccessive».
Governance chiara, gestione del conflitto di interessi e indipendenza di azione sono per Vitale le linee guida fondamentali da adottare.
«Qui ci giochiamo tutta la nostra credibilità. Dobbiamo tenere distante la politica dalle decisioni ma anche evitare che le scelte di investimento risentano della composizione del nostro azionariato. I soci rappresentano il 70% del sistema bancario italiano e mi pare inevitabile che tra le imprese scelte ci saranno molti clienti dei “big”. Per questo, ho chiesto di varare una sorta di patto che vieti all’interno del fondo l’ingresso di persone su indicazione delle banche. Questo non significa che queste figure saranno escluse, ma il loro ingresso avverrà solo sulla base della professionalità, vagliata da un consulente esterno, non in quanto “indicati” dagli azionisti».
Paletti chiari, che Vitale vuole rafforzare assegnando un ruolo prioritario al comitato del conflitto di interessi. «Avrà un ruolo cruciale, le scelte adottate dovranno essere percepite all’esterno come ineccepibili». Scelte a tutto campo, chiarisce Vitale, che non prevede di orientarsi su settori specifici. «Penso a quattro team d’investimento composti ciascuno da quattro persone, mi sembra più facile orientare la struttura per territorio che non per singoli settori».
Gli obiettivi di ritorno sull’investimento saranno «ragionevoli» anche se Vitale preferisce non sbilanciarsi su un numero. «Il private equity degli ultimi dieci anni ha privilegiato la spinta speculativa, con ritorni attesi del 15, 20, persino 30% all’anno. Sono rendimenti da rapina, da cui noi fortunatamente possiamo allontanarci. La nostra è un’azione di politica economica in collaborazione con il Tesoro, abbiamo investitori consapevoli del fatto che non si tratta di una scelta finanziaria». Il tasso di rendimento atteso verrà calcolato caso per caso e ovviamente – chiarisce Vitale – ci potranno essere nel grande numero di operazioni anche dossier in perdita. «Sia chiaro, comunque, che il nostro obiettivo non è quello di salvare aziende in difficoltà quanto piuttosto di valorizzare e fertilizzare i piani di sviluppo credibili. Ho detto: non saremo una nuova Gepi e qualcuno si è offeso. Non vi era nessun intento denigratorio, solo vedo per questo fondo un ruolo radicalmente diverso».
 

Con un miliardo a disposizione per investimenti – chiediamo – non teme l’ingerenza della politica?
«Forse, ma credo che quando la politica capisce che “non si passa”, in genere rivolge altrove la propria attenzione. E per noi questo è un vincolo ineludibile. L’Iri ha dato all’Italia un contributo formidabile allo sviluppo fino al 1962, sviluppando idee, progetti, professionalità. Quando con Petrilli è stato sancito il “predominio” della politica la spinta propulsiva si è via via dispersa. È un rischio che noi non possiamo permetterci di correre».
A settembre, secondo il piano d’azione, il fondo potrà varare i primi investimenti e Vitale è fiducioso nella collaborazione “dal basso”. «Abbiamo già ricevuto decine di segnalazioni e autocandidature. Alcune anche curiose, come un museo che punta a valorizzare il proprio business. Per noi sarà fondamentale l’intermediazione delle associazioni di categoria e delle Confindustrie locali. Chi meglio di loro è in grado di conoscere il territorio e le realtà che stanno provando a crescere, pur tra mille difficoltà».
L’obiettivo del fondo è di utilizzare per gli interventi una pluralità di modalità, tra investimenti diretti e l’utilizzo di fondi di fondi. «Il peso di queste due componenti, ma questo è un mio parere personale, dovrebbe essere a mio avviso del 50% mentre la struttura del fondo dovrà svilupparsi di pari passo con l’aumento delle operazioni attivate. La dotazione iniziale è pari ad un miliardo di euro, che in prospettiva potranno diventare tre. Intanto però, penso che questo miliardo possa essere già raddoppiato mobilitando a fianco del fondo altri investitori che condividano le nostre finalità. Inoltre, a livello di capitale, altri investitori potranno partecipare alla Sgr, qualora sottoscrivano nel Fondo, singolarmente o in forma aggregata, una quota minima di 100 milioni».
Entro l’inizio di maggio, secondo la tempistica prevista, verrà predisposto il regolamento del Fondo e all’inizio di settembre è prevista l’approvazione della Sgr e del fondo da parte di Consob e Banca d’Italia. Poi inizierà l’identificazione del team ed entro settembre partiranno i primi investimenti. «Abbiamo l’ambizione di creare una nuova stagione del private equity – conclude Vitale – e credo che vincere questa sfida significa in questa fase dare anche un contributo importante alla rinascita del paese».

autore: Luca Orlando

fonte: ilsole24ore
 

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