di Luca De Biase
E dunque Sheri Fink di Propublica ha vinto il Pulitzer. E questo ha portato nuovamente molti commentatori a parlare di forme di finanziamento comunitario al giornalismo investigativo. Ci si può domandare se esista una relazione tra il modo in cui il giornalismo è finanziato e il risultato informativo. E’ chiaro che questo diventa ancora più interessante con la crisi dei giornali, l’avanzata del pubblico attivo, l’innovazione tecnologica. La mediasfera è alla ricerca di un nuovo equilibrio, non è detto che lo trovi, ma ogni elemento è connesso a ogni altro e, nella complessità, i feedback positivi e negativi si moltiplicano.
Il modo di finanziare il giornalismo non è irrilevante. Perché genera sistemi incentivanti che favoriscono certe scelte a scapito di altre. Niente di nuovo. Un giornale completamente basato sulla pubblicità di scarpe tenderà nel tempo a essere diverso quando parla di scarpe da un giornale che parla di scarpe ma non ha pubblicità e si può leggere solo se lo si compra. E un giornale che parla di scarpe completamente finanziato da un’associazione di amanti delle scarpe tenderà a essere ancora diverso. I modelli di business generano sistemi incentivanti che nel tempo influenzano i giornali.
Non solo. Un modello orientato al profitto avrà qualche difficoltà a investire il 5 per cento del suo fatturato in una sola inchiesta. Mentre un giornale finanziato da un insieme di benefattori, potrà farlo, se ritiene che la causa valga la pena. Non ci sono solo sistemi incentivanti, ma anche veri e propri limiti logici: il giornale orientato al profitto deve diffondere molto, il giornale di impegno civile può anche vendere poco purché dei suoi contenuti si parli molto. E dei suoi contenuti si parlerà molto se sono fatti molto bene.
Guido (un lettore del blog) aveva fatto notare che le 13mila parole delle quali era composto il risultato finale dell’inchiesta di Fink sono costate 400mila dollari. Cioè poco meno del 5 per cento del budget che Propublica può spendere in un anno. Ma ha vinto il Pulitzer. E reso Propublica molto più importante. Tanto che ne parlano tutti.
Il punto è che tutto questo è il contorno abilitante del giornalismo. Non è niente di più. Il modo in cui i giornalisti colgono le opportunità di fare giornalismo che sono offerte loro da chi li paga per fare i giornalisti resta comunque almeno in parte sotto la loro responsabilità. I sistemi incentivanti contano. E contano i limiti finanziari. Ma ogni persona interpreta i mezzi che ha a disposizione per come è capace.
I giornalisti sono responsabili di quello che scrivono, che lo facciano con pochi soldi o con molti soldi. E possono giustamente decidere di fare i giornalisti per divertire una comunità con notizie socialmente intriganti, possono farlo per sostenere una causa politica, possono farlo per informare obiettivamente. Quello che li distingue nella nostra epoca non è la tessera, casomai è un metodo di ricerca giornalistica fattuale e trasparente. Questo orientamento metodologicamente corretto può dare senso al loro ruolo nel tempo in un contesto in cui il pubblico attivo e le piattaforme dei media sociali possono evolvere ancora molto e generare una mediasfera ricchissima di informazione.
Il vantaggio di questa epoca è che il pubblico attivo costituisce un’alternativa al giornalismo professionale per una serie di informazioni abbastanza vasta. E dunque inserisce nella dinamica una nuovo incentivo: per il timore di perdere lettori a favore dei sistemi di informazione amatoriali, i giornali sono incentivati a mantenere alta l’attenzione verso la qualità e l’orientamento al servizio alla comunità anche quando altri incentivi li porterebbero a servire piuttosto gli inserzionisti pubblicitari o altri. A sua volta il pubblico attivo ha bisogno di giornalismo professionale, come dimostra la quantità di citazioni di giornali che si trova nei blog e nei social network.
Nella complessità di tutto questo il tema del metodo giornalistico emerge sempre più come caratterizzante per un ruolo professionale e sociale di cui c’è sempre più bisogno e che può trovare nuovi modi per svilupparsi. (Se ne parlerà di più. Perché ancora in modo vago si capisce che non se ne può più di informazioni valutate solo in base a chi le propone o al suo ruolo mediatico: la società – si direbbe – ha bisogno di informazioni che facciano avanzare in profondità la conoscenza, o che almeno appaiano chiaramente in sincrono con la realtà, e dunque siano prodotte con un metodo trasparente).
Sta a tutti gli interessati darsi da fare. Nei limiti del possibile. Ma spingendoli sempre un po’ più in là. I mezzi non sono i fini: neppure i mezzi di comunicazione e i loro modelli di business.
fonte: blog.debiase.com