di Maurizio Serio, Flavio Felice
“Spe salvi facti sumus” – “nella speranza siamo stati salvati”, oltre ad essere il celeberrimo incipit dell’enciclica omonima, è diventato uno dei motti più significativi del pontificato di Benedetto XVI anche perché ha saputo incarnarsi in uno “stile della speranza” che sta vivificando la vita dell’intera Chiesa, sia a livello istituzionale che sul piano dell’ascesi personale dei fedeli. Come altro spiegare la straordinaria tenacia del pensiero cattolico a far fronte a questo periodo di crisi, morale così come economica, che sta attraversando le esistenze individuali non meno che le grandi strutture sociali?
Gli fa eco la fiducia più volte invocata dall’ultima enciclica del Santo Padre, quella Caritas in veritate che completa la risoluzione a coltivare la speranza indicandole una direzione, un senso: la caritas, appunto, come cifra delle relazioni umane, come statuto della dignità del nostro essere cittadini del mondo.
È allora conseguente a queste alte ispirazioni anche il ritorno dell’idealità nel discorso politico e il costante appello a riprendere una progettualità per la vita associata, dopo il fallimento dei riduzionismi, degli idealismi e dei materialismi di ogni sorta. In questo senso, crediamo vada letto l’auspicio, pronunciato dal presidente dei vescovi italiani, il cardinale Angelo Bagnasco, perché i cattolici si riapproprino dello spazio politico. La presenza dei cattolici nella vita politica italiana ha conosciuto diverse fasi, dall’esilio volontario ai tentativi di presenza unitaria, dalla grande architettura del partito stato – del partito governo ovvero del “partito necessario” per usare un’espressione sturziana – alla diaspora post Tangentopoli. Nessuna forma può rappresentare un dogma, sono tutte manifestazioni storiche, transeunti, realtà che rispecchiano la contingenza dei tempi.
D’altronde, il sogno di una politica cristiana non va confuso con la politica dei sogni, con l’estetica cool della novità a tutti costi, che si rivela evanescente alla prova dei fatti, come sta avvenendo (senza sorprese, come del resto immaginavamo) sull’altra sponda dell’Atlantico. Né può paragonarsi a quella prassi dell’annuncio ad effetto e dello slogan populista che ormai è viralmente penetrata nel discorso pubblico nazionale, di qualunque colore esso venga tinto. Piuttosto, il sogno interroga criticamente la realtà, come è logico in una prospettiva dell’et-et quale è quella cattolica. E lo fa proponendosi compiti audaci, da realizzarsi nel lungo periodo, con fatica, spirito di servizio, esercizio di virtù umane, ancor prima che teologali. Queste devono essere le caratteristiche di “una generazione nuova di italiani e di cattolici che, pur nel travaglio della cultura odierna e attrezzandosi a stare sensatamente dentro ad essa, sentono la cosa pubblica come importante e alta, in quanto capace di segnare il destino di tutti”.
Come incrociare questo sogno nella nostra realtà quotidiana? I membri del Centro Studi Tocqueville-Acton hanno cercato di fornire una delle molteplici risposte possibili organizzando una scuola di formazione politica ispirata proprio dalla lettura e dall’approfondimento delle tematiche affrontate nelle encicliche papali. In esse abbiamo trovato un ubi consistam che al tempo stesso è un’ancora di speranza e un pungolo alla carità, per provare a progettare, senza i determinismi dell’ideologia ma appunto con l’audacia dei sogni, un rinnovato paradigma del servizio da offrire alla comunità e, soprattutto, al desiderio di ciascuno di vivere un’esistenza piena, cioè tesa allo sviluppo integrale della persona e dei suoi mondi vitali.