di Ferruccio de Bortoli
(…) qual è il valore dell’informazione e, in particolare, dell’informazione economica? Il valore di un brand editoriale? Alcune risposte le possiamo rintracciare in avvenimenti recenti. Due operazioni finanziarie, una conclusa (l’acquisto da parte di Murdoch del Wall Street Journal), una ancora no (l’offerta di questi giorni di Arnault per Les Echos) dimostrano che si possono pagare multipli dell’ebitda assolutamente improponibili per un’azienda normale. Perché il valore intangibile del brand, ma meglio della reputazione e della credibilità di grandi gruppi dell’informazione economica, è difficile da stimare e non compare in bilancio. Questo attivo non è fatto soltanto dalla sommatoria delle competenze individuali, ma anche dalla storia, dal prestigio e soprattutto dal grado di indipendenza reale e percepita di un grande organo d’informazione. Ognuno di noi vi contribuisce. Nessuno escluso. Dunque, quel valore sta in tutti noi e noi abbiamo il dovere, quantomeno morale se non contrattuale, di difenderlo in ogni occasione. Senza dimenticare che il brand del giornale e del gruppo è sempre superiore a quello individuale. I giornali in cui sono stato hanno dato a me più di quanto io, in piccola parte, abbia dato a loro. Ora, che Murdoch e Arnault paghino tanto conferma il valore dell’informazione economica autorevole, ma anche, in negativo la sua esposizione a dubbie operazioni extra editoriali. L’informazione è uno strumento di libertà, ma anche un’arma del potere, in particolare economico. La crisi dei mercati di questa estate ha fatto emergere quanto ampie siano le asimmetrie informative fra operatori e quanto ancora profonda l’ignoranza degli strumenti finanziari. La globalizzazione ha moltiplicato l’esigenza di un’informazione in tempo reale, corretta e attendibile, ma anche la necessità che la nebbia dei rischi invisibili si diradi in fretta, senza costi eccessivi. Questo è anche il compito dei media autorevoli e indipendenti. Non a caso il Nobel dell’economia di quest’anno è andato a tre economisti americani (Hurwicz, Myerson e Maskin) che studiano le asimmetrie informative. E non è la prima volta. La qualità e il livello di concorrenza dei mercati sono condizionati dalla libertà di accesso alle informazioni necessarie e utili. Se sono poche limitano il grado di decisione di un operatore. Se sono troppe lo confondono. Si parla molto, e non senza qualche ragione, degli eccessi dei media e dei loro errori, ma il costo della non informazione non viene affatto valutato. Eppure è altissimo, in particolare in una economia globalizzata. C’è più market abuse nei silenzi e nelle incompletezze. C’è molta più perdita di libertà e reddito, per operatori e consumatori, là dove c’è opacità e arbitrio. Il costo della non informazione è elevato per i risparmiatori che danno fiducia a prodotti finanziari senza conoscerne appieno i rischi, come è accaduto per molti corporate bond, o più recentemente per i contratti derivati e le obbligazioni strutturate. E’ elevato per gli azionisti che sottoscrivono azioni di una società senza conoscerne le reali condizioni. E’ elevato per le aziende migliori che non vedono riconosciuti i loro meriti in mercati dove non c’è trasparenza ed onestà. E’ elevato per un’economia nel suo complesso, che cresce meno o cresce male. Ma l’informazione economica non né un fastidio né un male necessario, come purtroppo, ritengono molti membri della business community, in particolare quella italiana. Il valore di una informazione autorevole, libera ma responsabile, è largamente sottostimato. Tutti l’apprezzano e la invocano quando i giornalisti si occupano degli altri, dei concorrenti e degli avversari; tutti la detestano e la sospettano quando i cronisti mettono il naso negli affari personali o societari. Ma una classe dirigente, politica ed economica, moderna e avvertita, dovrebbe richiedere e apprezzare un’informazione indipendente, anziché sospettarla o adoperarsi per tenerla distante o tentare di piegarla ai propri interessi. La leadership vera si forma nel rispetto dei media seri e responsabili, così come nella cultura delle funzioni di garanzia e delle autorità indipendenti. Solo così si tutelano i soggetti più deboli, e si valorizzano quelli più meritevoli. Una società informata male è poco efficiente, ha poteri opachi. Poteri, anche quelli cosiddetti forti, che alla fine non rendono conto a nessuno. Ma, soprattutto, senza un’opinione pubblica consapevole e informata bene, un Paese non è in grado di scegliere al meglio le persone destinate a governarlo, né di indicare le priorità del futuro, né di riscoprire i legami di una cittadinanza che noi sentiamo debole e strappata. Un Paese così non è solo meno libero, ma anche più povero. E non soltanto di spirito. Ma per fortuna c’è qualche barlume, qualche raggio… Grazie a tutti.
fonte: Convention Il Sole-24 Ore, Milano 20 ottobre 2007