Ho pensato di fare gli auguri al mio Paese – all’Italia – con uno stralcio dell’omelia che Giovanni Paolo II pronunciò a Loreto l’8 settembre 1979 e… all’Abruzzo, con la voce aquilana di Alessandra Cora.
(…) Forse questa luce che scaturisce dalla tradizione della casa nazaretana a Loreto, realizza qualcosa di ancora più profondo; fa sì che tutto questo paese, che la vostra patria diventi come una grande casa familiare. La grande casa, abitata da una grande comunità, il cui nome è “Italia”. Bisogna risalire a ritroso nella realtà storica, anzi, forse, alla realtà preistorica, per arrivare alle sue radici lontane. Uno straniero, come me, il quale è cosciente della realtà che costituisce la storia della propria nazione, si addentra in questa realtà con un particolare rispetto e con un’attenzione piena di raccoglimento. Come cresce dalle sue antichissime radici questa grande comunità umana, il cui nome è “Italia”? Con quale legame sono uniti gli uomini, che la costituiscono oggi, a quelle generazioni, che sono passate attraverso la terra dai tempi dell’antica Roma fino ai tempi presenti? Il Successore di Pietro, il cui posto permane in questa terra fin dai tempi della Roma imperiale, essendo testimone di tanti cambiamenti e, al tempo stesso, di tutta la storia della vostra terra, ha il diritto e il dovere di porre tali domande.
E ha il diritto di chiedere così il Papa che è figlio di un’altra terra, il Papa i cui connazionali giacciono qui, a Loreto, nel cimitero di guerra. Eppure sa perché sono caduti qui. L’antico adagio romano “pro aris et focis” lo spiega nel modo migliore. Sono caduti per ogni altare della fede e per ogni casa di famiglia nella terra natia, che volevano preservare dalla distruzione. Perché, in mezzo a tutta la mutevolezza della storia, i cui protagonisti sono gli uomini, e soprattutto i popoli e le nazioni, rimane sempre la casa, come arca dell’alleanza delle generazioni e tutela dei valori più profondi: dei valori umani e divini. Perciò la famiglia e la patria, per preservare questi valori, non risparmiano nemmeno i propri figli.
5. Come vedete, cari Fratelli e Sorelle, vengo qui a Loreto per rileggere il misterioso destino del primo santuario mariano sulla terra italiana. La presenza, infatti, della Madre di Dio in mezzo ai figli della famiglia umana, e in mezzo alle singole nazioni della terra in particolare, ci dice tanto delle nazioni e delle comunità stesse.
E vengo, contemporaneamente, nel periodo di preparazione ad un importante compito, che mi conviene assumere, dopo l’invito del Segretario Generale dell’Organizzazione delle Nazioni Unite, di fronte all’alto foro della più rappresentativa Organizzazione del mondo contemporaneo. Vengo qui, a cercare in questo Santuario, per l’intercessione di Maria, nostra Madre, la luce. Già domenica scorsa ho chiesto a Castel Gandolfo, durante l’incontro dell’Angelus, che si preghi per il Papa e per la sua responsabile missione nel foro dell’ONU. Oggi ripeto e rinnovo ancora una volta questa domanda.
Si tratta infatti di lavorare e collaborare perché sulla terra, che la Provvidenza ha destinato ad essere l’abitazione degli uomini, la casa di famiglia, simbolo dell’unità e dell’amore, vinca tutto ciò che minaccia questa unità e l’amore tra gli uomini: l’odio, la crudeltà, la distruzione, la guerra. Perché questa casa familiare diventi l’espressione delle aspirazioni degli uomini, dei popoli, delle nazioni, dell’umanità, malgrado tutto ciò che le è contrario, che la elimina dalla vita degli uomini, delle nazioni e dell’umanità, che scuote i suoi fondamenti, sia socio-economici, sia etici; perché sull’uno e sull’altro si basa ogni casa: sia quella che si costruisce ogni famiglia, sia anche quella che, con lo sforzo delle generazioni intere, si costruiscono i popoli e le nazioni: la casa della propria cultura, della propria storia; la casa di tutti e la casa di ciascuno.
6. Ecco, l’ispirazione che trovo qui, a Loreto. Ecco, l’imperativo morale che da qui desidero portare via. Ecco, nello stesso tempo, il problema, che proprio davanti alla tradizione della casa nazaretana e davanti al volto della Madre di Cristo in Loreto, desidero raccomandare ed affidare, in modo particolare, al suo materno Cuore, alla sua onnipotenza di intercessione (“omnipotentia supplex”).
Così, come ho già fatto a Guadalupe in Messico e poi nella polacca Jasna Gora (Chiaromonte) a Czestochówa, desidero in questo odierno incontro a Loreto ricordare quella consacrazione al Cuore Immacolato di Maria che, venti anni fa, hanno compiuto i Pastori della Chiesa italiana, a Catania, il 13 settembre 1959, alla chiusura del sedicesimo Congresso Eucaristico Nazionale. E desidero riferire le parole che, in quella occasione, rivolse ai fedeli il mio Predecessore Giovanni XXIII di venerata memoria, nel suo messaggio radiofonico: “Noi confidiamo che, in forza di questo omaggio alla Vergine Santissima, gli Italiani tutti con rinnovato fervore venerino in lei la Madre del Corpo Mistico, di cui l’Eucaristia è simbolo e centro vitale; imitino in lei il modello più perfetto dell’unione con Gesù, nostro Capo; a lei si uniscano nell’offerta della Vittima divina, e dalla sua materna intercessione implorino per la Chiesa i doni della unità, della pace, soprattutto una più rigogliosa e fedele fioritura di vocazioni sacerdotali. In tal modo la consacrazione diverrà un motivo di sempre più serio impegno nella pratica delle cristiane virtù, una difesa validissima contro i mali che le minacciano, e una sorgente di prosperità anche temporale, secondo le promesse di Cristo” (Giovanni XXIII, Nuntius radiophonicus, 13 settembre 1959: AAS 51 [1959] 713).
Tutto ciò che, venti anni fa, ha trovato espressione nell’atto di consacrazione a Maria, compiuto dai Pastori della Chiesa italiana, io desidero oggi non soltanto ricordare, ma anche, con tutto il cuore, ripetere, rinnovare e fare, in un certo modo, mia proprietà, giacché per gli inscrutabili decreti della Provvidenza mi è toccato di accettare il patrimonio dei Vescovi di Roma nella Sede di San Pietro.
7. E lo faccio con la più profonda convinzione della fede, dell’intelletto e del cuore insieme. Poiché nella nostra difficile epoca, ed anche nei tempi che vengono, può salvare l’uomo soltanto il vero grande Amore!
Solo grazie ad esso questa terra, l’abitazione dell’umanità, può diventare una casa: la casa delle famiglie, la casa delle nazioni, la casa dell’intera famiglia umana. Senza amore, senza il grande vero Amore, non c’è la casa per l’uomo sulla terra. L’uomo sarebbe condannato a vivere privo di tutto, anche se innalzasse i più splendidi edifici e li arredasse il più modernamente possibile (…).
fonte: vatican.va