Roma e Milano, avvicinate dall’alta velocità e dalla politica, sembrano monopolizzare l’attenzione riducendo l’Italia che conta, quella dove vive la maggior parte della gente, al rango di comprimaria. Comprenderne le dinamiche interne, discuterne i fallimenti politici, studiarne i cambiamenti, significa forse poter arrivare un giorno a smitizzare queste due capitali molto meno morali di quanto servirebbe all’Italia. Claudio Cerasa, giornalista al Foglio dal 2005, e Marco Alfieri, giornalista al Sole 24 Ore, ricostruiscono le vicende della politica e dell’economia locale rispettivamente a Roma e Milano, in due libri densi di informazioni e suggestioni interpretative.
Milano e Roma continuano ad attrarre intelligenze e speranze, continuano a travolgere vite, continuano a consumare ambiente e relazioni umane. La fragilità che generano è forse più grande della fortuna che offrono, anche se fa meno rumore. Eppure, sebbene si viva peggio a Milano e a Roma che a Trento o a Trieste (ne parla il Sole in questi giorni), le persone che cercano fortuna vanno più spesso nelle due metropoli che altrove. Evidentemente perché sembrano offrire una prospettiva. E non tradirla è una responsabilità di quelle città.
I libri di Cerasa e Alfieri, informatissimi e storicamente consapevoli, mostrano due città in difficoltà. Ne emerge l’impressione che in fondo Milano sia una piccola metropoli, più piccola che metropoli. E Roma sia una piccola capitale, più piccola che capitale. Le beghe del potere, i network sociali che contano, le miserie della spartizione delle risorse, pesano come macigni sulla capacità di queste città di definire un progetto e di sviluppare un futuro.
I momenti decisionali fondamentali per la gestione dei circenses dell’Auditorium riproducono a Roma in chiave modernista dinamiche da basso impero, mentre il fallimento dei primi anni di preparazione all’Expo mostrano a Milano l’incapacità di sviluppare un progetto che superi i particolarismi delle grandi famiglie di poteri locali.
Roma e Milano, nei libri di Cerasa e Alfieri, sembrano incapaci di darsi proprio quello che chi le ammira ritiene che abbiano: ampiezza di prospettiva. Ma è chiaro che la distanza tra l’impressione di chi le studia, soprattutto guardando alla politica locale, e l’aspettativa di chi le sceglie come posto dove vivere, non si spiega considerando i fenomeni in modo unilaterale. Un’ipotesi: forse la politica è sovrastimata, mentre troppo poco ci raccontiamo quella parte della vita delle persone che dipende dalle loro capacità.
fonte: blog.debiase.com