Domenica – ospiti di amici – siamo stati tutta la giornata a l’Aquila per una festa tra famiglie. Siamo pronti per ripartire.
Sono parole forti quelle che il capo della Protezione civile usa per rispondere con una toccante nota a S.B., padre di uno studente deceduto nel crollo di un edificio, il quale gli aveva inviato una e-mail per invitarlo a dimettersi dopo la tragedia e soprattutto dopo le rassicurazioni, poi risultate inopportune, della Commissione grandi rischi.
«Ho letto la sua scarna e-mail» risponde Guido Bertolaso «con l’animo stretto di chi è costretto dal dolore altrui a vedere le cose con occhi diversi. Lei scrive parole che per me sarebbero inaccettabili se non sapessi che il loro significato vero lo si capisce solo guardando attraverso le lacrime. Mi sento colpito», prosegue Bertolaso, «dalla infinita stanchezza della sua anima che rifiuta ogni distinzione di competenza, ogni distinguo sulla responsabilità, ogni analisi razionale dei tempi, dei luoghi e dei fatti perché la ragione e i suoi strumenti sono del tutto inutili quando siamo chiamati a confrontarci con l’irrimediabile della morte di chi è per noi ragione di speranza e vita. Non pretendo di capire perché l’esperienza della morte è un fatto troppo personale per essere condiviso e capito. Mi assumo la piena responsabilità di ciò che ho fatto e che faccio insieme a quelle di chi non ha fatto e non ha assunto responsabilità quando doveva farlo per evitare la morte di persone innocenti per rispetto del suo inconsolabile dolore. I morti dell’Aquila potevano non esserci e soprattutto essere molti meno tra i giovani. Confido in coloro che devono, per loro compito, individuare le resposabilità personali dirette, omissioni dolose, irresponsabilità colpevoli, perchè è giusto che non si chiami disgrazia o fatalità ciò che poteva essere evitato».
«Ma accetto», conclude, «di essere parte della classe dirigente che, nel suo insieme, non ha saputo fare ciò che era possibile per evitare lutti e dolori a tante, troppe, persone. Non so come starle vicino se non esprimendole il più profondo rispetto per ciò che patisce e facendo un passo indietro dal mondo dei miei razionali comportamenti, per accettare in silenzio la sua pena».
tratto da: ilcentro.it
TERREMOTO ABRUZZO/ Cora: ho perso moglie e due figlie, ma sono convinto che tutto ha un senso
Il terremoto gli ha portato via la moglie, Patrizia, e le due figlie, Alessandra, di 22 anni, e Antonella, 27. Maurizio Cora, avvocato dell’Aquila, è l’unico ad essersi salvato. Alessandra era una giovane promessa della musica, hanno anche istituito un premio in suo onore. Se n’è andata subito, con la mamma, travolte dal primo crollo. Antonella no, ha lottato per un po’ tra la vita e la morte, in ospedale, ma poi neanche lei ce l’ha fatta. Maurizio è rimasto solo. Non ha più nulla, con la casa ha perso anche lo studio, ma lo troviamo intento al lavoro, fuori dell’Aquila. Risponde in modo pacato, sereno, apparentemente senza emozionarsi. Non è però distacco, ma un abbandono, fiducioso, a quello che non possiamo mutare.
Avvocato Cora, oggi a L’Aquila ci sarà la visita di Benedetto XVI. Dopo eventi così drammatici che l’hanno coinvolta personalmente, e che hanno travolto una città, famiglie, legami, rapporti, cosa si attende?
La visita del Papa è un grande conforto per quanti, come me, soffrono profondamente. Le sembrerà poca cosa ma altro, mi creda, non saprei dire. Sentire vicina la Chiesa in un momento come questo ci conforta nella fede e nella speranza che tutto questo comunque possa avere un senso.
Neanche sua figlia Antonella ce l’ha fatta. Lei è sopravvissuto ai suoi cari…
Sì purtroppo è così. Dico purtroppo perché sopravvivere ai propri figli e alla propria moglie è qualcosa di tremendo, di assolutamente tremendo. Ho perduto in un attimo gli affetti più cari. Ora rimane la dolcezza che non c’è più. È l’evidenza di una dolcezza che hai sempre percepito, ma quasi come sottofondo della tua esistenza. Ora ne senti la mancanza, ma senti anche la forza di questa dolcezza che non hai più.
È questo sentimento a darle la forza di andare avanti?
Se non ti agganci con la fede a Dio ma rimani sul piano del contingente, finisci per crollare. L’alternativa alla fede, per me, sarebbe la disperazione. Ora ringrazio il Signore per avermi regalato, per un pezzo della mia vita, Patrizia, Alessandra e Antonella. Persone meravigliose che mi hanno gratificato della loro presenza, del loro affetto, del loro sorriso. Ora non sono più con me, ma questa mancanza mi permette di constatare quanto grande era il dono che avevo ricevuto.
Lei ha perso la casa, lo studio, tutto. Ora ha ripreso a lavorare. Dove ha trovato la forza di ricominciare?
Sì, ho perso tutto. Questo naturalmente non è nulla rispetto alla scomparsa di mia moglie e delle ragazze. Ho trovato forza, come le dicevo, solo nella fede. Qui c’è ben poco da fare, umanamente parlando. Devi accettare, mi sono detto, come volontà di Dio quello che è accaduto.
Lei prega, dunque?
Sì, costantemente.
Tornerà dove ha sempre vissuto?
No. Penso che resterò in Abruzzo ma non all’Aquila, perché non ho una casa dove tornare e non vorrei ricostruirla là dove ho vissuto questi anni con mia moglie e le mie figlie. Sarebbe uno stillicidio di dolore. Non ce la farei e già adesso sono provato. Sarebbe una grandissima difficoltà andare avanti.
Come lei tanti altri suoi concittadini stanno lottando per tornare, lentamente ma con enorme fatica, alla normalità della vita e del lavoro. Cosa ha significato per lei questa prova?
In me non è cambiato nulla, sono così com’ero prima. Ma hai una visione molto più relativa delle cose, vedi in maniera chiara ciò che conta veramente nella vita, che sono gli affetti e non le cose. I drammi li comprendi soltanto nel momento in cui li attraversi, quando ti trapassano lo stomaco e vivi la tragedia. E la tendenza è quella di allontanarsi rapidamente dalla dimensione del dolore e della sofferenza mentre, invece di fuggirla, bisognerebbe parteciparla.
Una prova drammatica come quella che ha vissuto come interroga la sua ragione, la sua fede e la sua speranza? Che risposta si è dato alla domanda sul perché? Perché tutto questo?
Indagare il perché di quello che è accaduto sarebbe un atto di presunzione. Perché è successo non lo sappiamo, non è nelle nostre possibilità. A meno che non si confonda tutto questo con la spiegazione di un terremoto. Quanto dolore accade ed è puntualmente dimenticato? Io anzi mi considero un privilegiato, perché ho la possibilità di raccontare la mia storia e il mio dramma. Altre persone hanno vissuto, e stanno vivendo, drammi tremendi nel silenzio.
Lei ha detto prima che il Papa conforterà la speranza della gente. Cosa voleva dire?
Il papa non toglierà nulla alle sofferenze della gente, ma porterà un annuncio di speranza. Le sofferenze si stemperano dinanzi certezza della paternità divina e alla speranza che viene annunciata dal Vangelo. La lezione di tutto questo è che nella vita bisogna sempre operare per il bene, e fare il bene, perché Dio ci chiama da un momento all’altro e l’importante è essere in grado di poter stare davanti a Lui.
Nonostante il dramma che sta vivendo, lei dà comunque un’impressione di grande forza.
Mi viene solo dall’accettare la volontà di Dio. Quello che accade lo dobbiamo accettare. Io sono convinto nella fede che tutto ha un senso, e nel momento in cui l’esistenza si pone in questi termini va accettata comunque. Nel lavoro, nella nostra famiglia, siamo sempre stati aiutati dalla Provvidenza, alla quale ci siamo sempre affidati. Se non possiamo comprendere questo evento – e come potremmo? – possiamo soltanto accettarlo. E starci dentro mi fa condividere la situazione di tutti.
tratto da: sussidiario.net