Anche Machiavelli sarebbe d’accordo con il Papa

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di Ettore Gotti Tedeschi

Una enciclica sociale è senza tempo perché affronta, in periodi diversi e condizioni che cambiano, un problema sempre prioritario:  l’esigenza di dare un senso alle azioni umane. Esigenza che si soddisfa cercando e trovando la verità. Per questo motivo, la Caritas in veritate nei suoi principi è senza  tempo:  potrebbe essere stata scritta un secolo fa, così come potrebbe esserlo fra cento anni. Ma un testo papale di questo genere intende ovviamente anche rispondere ai problemi dei tempi in cui nasce.
Quando nel marzo 1891 Leone XIII pubblicò la Rerum novarum, molti vollero interpretarla in chiave anticapitalistica per le considerazioni che conteneva sugli eccessi della concentrazione del potere economico. Ma proprio nello stesso periodo, nel luglio 1890, il Governo statunitense aveva promulgato lo Sherman Act per regolare i monopoli che impedivano al mercato di funzionare. Era una curiosa coincidenza tra valutazione economica e giudizio morale che lascia intendere come le leggi dell’economia non possano prescindere da una naturale conformità con i principi etici.
Allo stesso modo si può interpretare la Caritas in veritate. Consapevole delle origini dell’attuale situazione economica, Benedetto XVI propone la sua analisi e mette in guardia sulla pericolosità di una crescita egoistica, consumistica e insostenibile. La stessa crescita fittizia che ha portato in questi anni a distruggere ricchezza e indebolire l’uomo. Curiosamente, come era avvenuto alla fine del XIX secolo, anche questa volta è dagli Stati Uniti che è venuta un’indiretta adesione all’insegnamento del Pontefice. Il presidente Obama – riproponendo la complementarità tra valutazione economica e morale – ha infatti affermato che gli americani devono smetterla di vivere al di sopra delle proprie possibilità.
Ma quanto durerà l’attenzione alle raccomandazioni contenute nella Caritas in veritate? Il suo richiamo verrà dimenticato appena terminata l’emergenza? Il testo è stato pubblicato in un momento di grave recessione economica originata da una forte crisi dei valori morali. Tutti sono ora molto attenti e si dichiarano d’accordo con il suo messaggio. Ma ci vuole altro per consentire allo spirito dell’enciclica di radicarsi. È necessario comprendere cosa significhi in pratica applicare l’etica all’economia. È forse inutile sperare in un cambiamento delle persone a motivo di un ciclo economico negativo. Molti di quelli che oggi riconoscono l’importanza dell’etica in economia, appena ieri dileggiavano lo stesso richiamo, sottolineando l’esclusiva importanza di produrre profitto. E ignorando che l’aspetto etico riguarda soprattutto come e perché il profitto viene generato.
Le proposte della Caritas in veritate potranno quindi essere accettate e trovare realizzazione anche nei periodi successivi alla crisi attuale se si riconoscerà che esse corrispondono a un concreto interesse generale e individuale. Ci si deve cioè convincere che l’etica in economia produce risultati migliori. E ciò non è affatto impossibile se si regola la competizione sleale. Non è difficile dimostrare che l’etica applicata produce maggiore ricchezza, che è persino un vantaggio competitivo, che realizza risultati più sostenibili nel tempo. Il comportamento etico implica costi minori – si pensi solo a quelli di controllo – e permette di creare valore crescente grazie alla trasparenza e alla fiducia che a loro volta producono più certezze e meno rischi.
Qualcuno diffonde ancora l’idea che la civilizzazione dell’economia – l’applicazione cioè di principi etici alle attività economiche – significhi minore produzione di ricchezza, rallentamento del processo economico, meno vantaggi competitivi e una scarsa attenzione alla misurazione dei risultati in base al profitto. In realtà è vero il contrario.
È la mancanza di etica a produrre rischi di distruzione di ricchezza, e la storia della crisi attuale non dovrebbe lasciare dubbi in proposito. È lo spreco di risorse a generare perdite per la comunità. È lo sviluppo truccato a innescare diseconomie e ingiustizie. È l’asservimento del cittadino agli esclusivi bisogni dello Stato a dare vita alla debolezza e alla conseguente sfiducia verso le istituzioni.
L’insegnamento della Caritas in veritate – a partire dalla fondamentale introduzione – può quindi trovare una concretissima e utilissima applicazione. Perché, come Niccolò Machiavelli dichiara nei Discorsi (III, I), “è solenne principio che per riformare una società in decadenza è necessario riportarla ai principi che le hanno dato l’azione”. Anche lui sarebbe d’accordo con il Papa.

(© L’Osservatore Romano – 12 luglio 2009)

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