Il 19 giugno alle 17.30 nella sede romana dell’Associazione Bancaria Italiana, a Palazzo Altieri, si è svolto l’incontro “Fondazione La Gregoriana. Una realtà in movimento nel mondo che cambia”. Sono intervenuti il presidente della fondazione, il gesuita Franco Imoda, i cardinali Zenon Grocholewski, prefetto della Congregazione per l’Educazione Cattolica, e Leonardo Sandri, prefetto della Congregazione per le Chiese Orientali, padre Adolfo Nicolás, preposito generale della Compagnia di Gesù, il senatore a vita Carlo Azeglio Ciampi, presidente emerito della Repubblica italiana, Mario Draghi, governatore della Banca d’Italia, e il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio dei ministri, del quale pubblichiamo l’intervento.
di Gianni Letta
Questa iniziativa, inserita in un più ampio percorso di riflessione comune, conferma la bontà della scelta che, sei anni fa, portò alla costituzione della Fondazione La Gregoriana. Quest’organismo, nato in occasione del 450° anniversario della Pontificia Università Gregoriana sul modello dell’omonima Fondazione di Washington, non solo continua a supportare efficacemente le attività del Consortium gregoriano, ma si pone quale sicuro punto di riferimento per le relazioni tra il mondo cattolico e la società nel suo complesso.
Si coglie nell’azione della fondazione quella connessione forte fra ricerca del sapere, apertura al dialogo e attenzione ai valori che è uno degli aspetti centrali del messaggio di sant’Ignazio di Loyola.
L’ascolto e il confronto sono linfa per le istituzioni. Tuttavia il dialogo produce i suoi frutti solo se basato sulla conoscenza: la ricerca e il sapere, nell’insegnamento ignaziano, sono premesse necessarie del confronto dialettico.
La conoscenza di cui abbiamo bisogno, d’altro canto, è sì proiettata verso il futuro, ma salvaguardando, nel contempo, i migliori lasciti della tradizione, con un’opera che – con le parole di Marguerite Yourcenar – “è un po’ come costruire ancora granai pubblici: ammassare riserve contro l’inverno dello spirito” (Mémoires d’Hadrien, 1951).
Sono le stesse felici intuizioni che portarono, nel 1551, alla costituzione del Collegio romano, una scuola moderna anche nella sua finalità di aprire al sapere le classi meno agiate, come icasticamente recava l’iscrizione al suo ingresso: “Schola de Grammatica, d’Humanità et doctrina Christiana, gratis”. La preziosa e secolare attività di approfondimento che ne è seguita ci ha lasciato testimonianze illustri in tutti i campi dello scibile: dalla filosofia alla matematica, dalla teologia alla fisica.
D’altro canto, la ricerca, nell’azione della Compagnia di Gesù, non è mai stata intesa come fine in sé, ma quale azione teleologicamente orientata.
Non è utile, e soprattutto non è moralmente lecito, intendere l’indagine scientifica quale mero strumento operativo. La ricerca non può essere ridotta a un semplice “saper-come-fare”, a quello che un diffuso anglismo qualifica come know-how: il “sapere-come” è certo importante, ma fondamentale resta – come giustamente sottolineato nella presentazione del vostro ateneo – il “sapere per chi e per che cosa”.
Le scoperte e le invenzioni divengono, così, mezzi per migliorare la vita dell’uomo e favorire più giusti modelli di società: vi è un filo conduttore che lega iniziative e realtà lontane nel tempo e nello spazio, dal recente paradigma pedagogico ignaziano alle esperienze sociali del Seicento e del Settecento nelle Riduzioni del Paraguay.
Il sapere orientato al perché della conoscenza rimane, quindi, il lascito più prezioso di tanti illustri studiosi che, in contesti storici così diversi, sono stati e continuano a essere realtà feconda.
Queste riflessioni ci portano direttamente al tema dell’incontro di oggi, che, con un’immagine plastica, sintetizza la capacità della fondazione di seguire dinamicamente i cambiamenti del mondo in cui agisce, rimanendo fedele alle ragioni e alle finalità della sua opera.
In alcune suggestive pagine di Antonio Rosmini (La società e il suo fine, 1837) si ritrova un’interessante riflessione sul movimento finalizzato al progresso. Secondo l’autore è errato apparentare all’idea di progresso tutto ciò che è nuovo, senza alcuna distinzione di ordine morale. Il progresso non è il risultato di una semplice concatenazione causa-effetto, ma implica al suo interno la libertà dell’uomo: la perfezione non è legata al fato, ma è piuttosto uno sforzo di libertà. Pertanto il progresso e lo sviluppo non escludono la conservazione, poiché sovente la critica all’innovazione è necessaria per comprendere che non tutti i cambiamenti sono dei miglioramenti.
In un’analoga prospettiva si pone la stessa analisi costi-benefici, che ci suggerisce di tentare di “andar bene e non sempre avanti” (Amartya Sen).
Il consolidato metodo di ricerca seguito sempre dal Consortium gregoriano diviene, allora, un fondamentale strumento per accostarsi alle questioni di maggiore attualità.
Dagli sviluppi della genetica alla soluzione dei problemi energetici, dalle istanza di tutela dell’ambiente alla diffusione di nuovi mezzi di comunicazione, è indispensabile che vi siano voci libere – come quella del Consortium – che guidino i processi scientifici e le scelte senza rinunciare a un attento vaglio morale.
Il rischio, altrimenti, è quello di un finto progresso, che calpesta la dignità dell’uomo. Non possiamo dimenticare i criminali esperimenti su cavie umane condotti nei lager nazisti o le politiche eugenetiche di “sviluppo del genere umano”, in nome delle quali alcune legislazioni nazionali hanno favorito per decenni la sterilizzazione degli “esseri inferiori”.
La neutralità del progresso scientifico e delle politiche economiche resta un postulato indimostrato: l’energia atomica può generare sia elettricità sia distruzione. Lo sfruttamento delle foreste occupa molte popolazioni nei Paesi in via di sviluppo, ma determina gravi problemi ambientali.
Coniugare sviluppo e imperativi morali è la sfida cui siamo chiamati. In questo senso vanno, per esempio, quelle soluzioni che fanno dell’etica nella produzione un valore aggiunto per le imprese, come avviene con il diffondersi della cosiddetta “industria verde” (green industry).
Queste considerazioni valgono anche con riferimento alla crisi economica che stiamo attraversando.
Lo studio di temi di immediato interesse pratico, come l’analisi dei cicli di sviluppo e di declino del sistema economico, può essere anche il modo per offrire il proprio contributo alla crescita sociale. Dalla infausta esperienza della grande depressione del 1929, un grande studioso gesuita, Bernard Lonergan, trasse ispirazione per la sua ricerca orientata a elaborare una teoria economica che, oltre a tener conto dello sviluppo della società, cercasse di prevenirne i risvolti fallimentari.
Un’economia che vuole essere al servizio dell’uomo non può prescindere da una scala valoriale di riferimento e il paradigma per ogni ricerca proiettata in questo senso non può che essere – scriveva Lonergan nel 1972 – “sii attento, sii intelligente, sii ragionevole, sii responsabile” (Method in Theology).
tratto da: Osservatore Romano 19/06/09