di Enrico Cisnetto
Se Keynes fosse vivo, oggi sarebbe sicuramente ecologista. Non nel senso di “verde” all’italiana, o di “no global” alla Naomi Klein, ma secondo il modo in cui si è mossa, prima fra tutti, l’amministrazione Obama. Cioè decidendo che uno dei modi per uscire dalla crisi più forti di prima è quello di predisporre una vera e propria rivoluzione del modello di sviluppo economico in senso ambientale. Il Nobel per l’economia Joseph Stiglitz ha stimato che solo rendendo ecocompatibile il riscaldamento di case e uffici americani, con una spesa di 1 miliardo di dollari si avrà un ritorno in termini di giro d’affari compreso tra 1,4 e 3,1 miliardi di dollari tra il 2012 e il 2020, e una ricaduta occupazionale da 1 milione di posti di lavoro tra oggi e il 2011. Il nuovo moltiplicatore, insomma, è “verde”, e gli americani, con il pragmatismo con cui hanno affrontato questa crisi, l’hanno capito concependo la “green economy”.
In particolare, hanno capito che il paradigma dello “sviluppo sostenibile” – nato per trovare un compromesso tra crescita e ambiente – è ormai da mettere in soffitta. E non solo perché trovate economicamente disastrose come quella del Protocollo di Kyoto hanno diviso inutilmente il mondo senza produrre alcun beneficio reale. Ma anche e soprattutto perché questo trade-off svanisce di fronte alla crisi più difficile che l’economia globale si sia trovata ad affrontare.
“Gli Stati Uniti non sono chiamati a decidere se salvare l’ambiente o salvare l’economia, ma piuttosto a scegliere fra prosperità e declino”, ha detto Obama alla Giornata mondiale della Terra. Proponendo così un vero e proprio salto di paradigma, come ha spiegato un “guru” del calibro di Amartya Sen, il premio Nobel che al convegno “Green Spirit” organizzato a Pordenone da Electrolux, ha introdotto la nuova equazione “attenzione all’ambiente = motore di sviluppo”. Insomma, lungi dall’essere un freno, l’impatto zero è volano di crescita. Come?
Semplice: superando la cultura ecologista imperante finora, che punta tutta l’attenzione ai processi produttivi, i quali devono essere sì il più possibile rispettosi dell’ambienti e risparmiosi di energia in sé, ma ciò che maggiormente conta è che siano finalizzati a mettere sul mercato prodotti ecocompatibili. Che si tratti di auto, di elettrodomestici, di sistemi di riscaldamento o altro, oggi il prodotto finale, grazie a investimenti mirati in ricerca e sviluppo, deve avere bassi standard di emissioni, consumare poca energia, essere riciclabile, costare il meno possibile (sia in termini economici che ecologici) di trasporto. Certo, questo spostamento concettuale presuppone consumatori sensibilizzati e “demanding”, disposti magari a pagare qualcosa di più per acquistare beni concepiti secondo la “green spirit”. Esistono? Secondo una ricerca commissionata alla Astra di Enrico Finzi da Rex-Electrolux, una delle realtà che più hanno investito su questa “rivoluzione verde”, oltre otto italiani su 10 sono pronti a pagare tra il 5% e il 10% di più per scegliere una marca o un prodotto davvero ecosostenibile, purché certificato. Adesso, dunque, tocca alle aziende impegnarsi a dare un’adeguata offerta a questa domanda. E tocca allo Stato favorire questo formidabile moltiplicatore di ricchezza e occupazione. Senza aspettare, con inutile ottimismo e senza far niente, la fine della recessione.
tratto da: “Il Messaggero, La Sicilia, Il Gazzettino” domenica 17 maggio 2009