L’Italia alleato critico della Turchia in Europa

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di Massimo D’Alema

Caro direttore,
ho portato, nei miei colloqui istituzionali e politici ad Ankara, un messaggio di forte sostegno dell’Italia, in un momento molto delicato per il Paese. La Turchia vive in questi mesi una congiuntura molto delicata sia sul piano interno che su quello internazionale. La forza di attrazione che l’Europa ha esercitato, sin dall’avvio dei negoziati di adesione nell’ottobre 2005, ha indubbiamente prodotto effetti molto positivi sul quadro politico del Paese.

Le difficoltà che si percepiscono ora diffuse a Bruxelles rischiano di far riemergere, nella società turca, linee di frattura su complesse questioni di cultura politica e di identità nazionale e di indebolire fortemente il consenso che le forze politiche, sociali ed economiche del Paese hanno sin qui condiviso sul progetto europeo.

Anche per questo l’Italia continua a sostenere, al di là delle situazioni congiunturali, il tragitto di adesione della Turchia all’Unione Europea. Lo suggeriscono, tra l’altro, ragioni geo-strategiche, legate alla comune appartenenza mediterranea, che meglio riequilibri le componenti interne dell’Unione. La Turchia rappresenta inoltre uno snodo tra i Balcani, il Medio Oriente, il Caucaso, l’Asia Centrale e rappresenta un “hub” per i transiti energetici dal Mar Nero e dal Caspio. Ma sono soprattutto convinto che l’adesione di un Paese impegnato a conciliare Islam e secolarismo, sviluppo e stabilità, modernità e tradizione, rappresenti al contempo un incoraggiamento alle forze riformiste di altri Paesi dell’area e la prova di un’Europa che non si chiude in se stessa.

Sulle prospettive europee della Turchia si gioca per l’Europa una delle partite più complesse e per molti aspetti cruciali: se cioè l’Unione debba definirsi in termini di un’identità “esclusiva” oppure debba caratterizzarsi come un progetto politico aperto — ancorché esigente e coerente — basato sulla condivisione dei valori. Il processo di avvicinamento della Turchia all’Unione Europea è avviato su binari saldi, ma la marcia del convoglio, la sua velocità e il suo procedere con regolarità dipendono molto da chi lo guida oggi e lo condurrà nei prossimi anni. In Turchia si è consapevoli che l’appartenenza all’Unione non costituisce l’adesione a un’alleanza dai contorni vaghi, ma comporta un vero e proprio potere “trasformante”. L’Europa non “esporta” democrazia, con tutti i rischi e le incognite connessi, ma piuttosto tende a generare o, se si preferisce, a consolidare la componente democratica endogena dei Paesi che aderiscono o aspirano ad aderire all’Unione.

Il processo di adesione della Turchia andrà valutato in base alle questioni specifiche ancora aperte o irrisolte (la piena libertà di espressione e quella religiosa, le soluzioni ancora attese nei rapporti con Cipro, la “questione curda”, le relazioni con l’Armenia), non deciso o condizionato da valutazioni di carattere astrattamente identitarie o genericamente “culturali”. Un’idea e un progetto comuni lega oggi saldamente Paesi assai diversi come ad esempio la Grecia e la Svezia, il Portogallo e la Danimarca, senza che nessuno invochi l’eterogeneità culturale. Conta ciò che vogliamo fare e divenire assieme. E contano anche istituzioni efficienti, che consentano di discutere, di valutare assieme, ma poi di decidere. L’Europa ha bisogno di una “democrazia deliberativa”. Per questo la riforma istituzionale è essenziale per la stessa credibilità dell’Europa. Appoggiare con convinzione la prospettiva europea della Turchia non significa tuttavia sottovalutare la complessità del negoziato di adesione. Al di là degli aspetti politici, la stessa dimensione demografica ed economica del Paese richiederà la ricerca di nuovi delicati equilibri nelle politiche comunitarie, dalla politica agricola comune alle politiche di coesione. D’altra parte, è anche nella capacità di risolvere questi difficili nodi che l’Unione Europea gioca il suo futuro.

Da parte nostra, abbiamo rafforzato una “strategia dell’attenzione” nei confronti della Turchia, varando un “tavolo Turchia” che riunisce il mondo delle istituzioni e i rappresentanti dell’imprenditoria e della finanza. L’Italia è il terzo partner commerciale, con un interscambio in continua crescita (oltre 15 miliardi per il 2006) e una presenza di oltre 500 aziende nel Paese. Puntiamo a consolidare la nostra presenza, oltre che nei grandi comparti industriali e di eccellenza, come trasporti, energia, elicotteristica, costruzioni, anche nel settore bancario e delle piccole e medie imprese. Innovazione tecnologica, finanza e commercio hanno un solido ancoraggio in un Paese che conosce tassi di sviluppo molto elevati, dell’ordine di 6-7% e che ha grandi potenzialità di espansione.

In tale complesso percorso, multilaterale e bilaterale, abbiamo l’ambizione di porci come un interlocutore attento e consapevole per la Turchia, ma anche come un partner che, forte della credibilità acquisita, sappia mantenere un dialogo assiduo, vigile e se necessario anche critico, per sostenere il Paese nel suo tragitto di compiuta integrazione europea.

tratto da:  Il Sole 24 ORE del  12 Giugno 2007

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