di Piero Ostellino
In Abruzzo, la magistratura si è messa a caccia di chi ha costruito edifici «non a norma». I giornali riferiscono, compiaciuti. E tutti ci sentiamo migliori. Dei politici inefficienti; degli amministratori corrotti; persino dei proprietari delle case «non a norma», che adesso vivono sotto una tenda. È l’Italia demagogica e anche un po’ cialtrona di sempre; che spazza sotto un tappeto di retorica populista la sporcizia accumulatasi nel tempo.
Perseguire i geometri e le imprese del luogo, che hanno costruito case per gente che molti soldi da spendere non aveva, significa cercare un capro espiatorio per tacitare la cattiva coscienza nazionale. Che non consiste nell’aver permesso la costruzione di abitazioni crollate alla prima scossa di terremoto, ma nel continuare a nascondersi che l’Italia, in certe regioni, è un Paese più prossimo al Terzo Mondo che a quello industrializzato. L’abusivismo e le costruzioni «non a norma » sono, in alcune regioni d’Italia, l’equivalente delle favelas in certi Paesi dell’America latina.
Fingiamo di essere uno Stato di diritto, legalmente avanzato, quando le cose vanno bene; poi, gridiamo allo scandalo non appena vanno male. Le illegalità vanno perseguite. Ma il rispetto della legalità andrebbe conseguito semplificando le normative e i regolamenti che impongono percorsi burocratici lunghi, incomprensibili, inutili, invece che produrre certezze giuridiche. Si eliminino le autorizzazioni preventive, fonte di corruzione; si chieda un’autocertificazione, al professionista che firma il progetto e all’impresa che lo esegue, che attesti l’impegno a rispettare poche e chiare normative. E chi sbaglia paghi.
Tutti — compresi i magistrati che indagano — sanno bene che la proprietà della casa è, da noi, il traguardo di una vita di sacrificio. Case spesso costruite con materiali di cattiva qualità e progettate da professionisti approssimativi, vuoi perché senza scrupoli, vuoi perché compassionevoli di fronte all’ignoranza e all’indigenza. Parlare di case «non a norma» è un’ipocrisia che nasconde una amara verità: «a norma», quelle case, non sarebbero mai nate per mancanza di soldi.
Il rischio, allora, è di mettere nello stesso calderone giudiziario i responsabili delle case di abitazione — fra i quali ci sono anche gli stessi proprietari — e degli edifici pubblici crollati. Ma, così, non si persegue un principio di legalità, bensì ci si limita a fare del moralismo, additando alla pubblica indignazione qualche poveraccio, più vittima che colpevole dell’andazzo generale. Per gli edifici pubblici, ogni progetto deve essere accompagnato da un capitolato di spesa e di esecuzione, a tutela, con la sicurezza degli utenti, dei soldi del contribuente. Ma, poi, l’eccesso di normative generali e di regolamenti locali alimenta il clientelismo politico e la corruzione amministrativa. Che, ora, si fa mostra di voler combattere con qualche inchiesta giudiziaria da vendere ai giornali. I quali, per parte loro, ne parleranno con rilievo, fra l’entusiasmo dei moralisti d’accatto.
tratto da: corriere.it