di Ettore Gotti Tedeschi
Bisogna avere il coraggio di affermarlo: la fragilità e la vulnerabilità della economia del mondo occidentale sono fortemente legate, se non conseguenti, alla crisi demografica iniziata trent’anni fa e che vide in breve tempo crollare il tasso di crescita della popolazione, da oltre il 7 per cento annuo a quasi zero. Questo crollo delle nascite ha provocato indirettamente una maggiore e più rigida spesa pubblica con la conseguente difficoltà a ridurre le tasse e direttamente una minore crescita della ricchezza finanziaria prodotta dal risparmio delle famiglie. Gli errori fatti nel tentativo di correggere gli squilibri provocati hanno poi peggiorato la situazione. Fino alle conseguenze, non sempre direttamente correlate fra loro, cui stiamo assistendo: recessione, fallimenti e salvataggi, disoccupazione, crollo delle Borse.
L’attuale crisi occidentale viene definita stagflazione (stagnazione più inflazione) perché è contraddistinta da una crescita economica vicina allo zero per il crollo della domanda, aggravata da una inflazione causata dai costi delle materie prime. Il crollo della domanda si spiega con il minore potere d’acquisto delle famiglie grazie all’esaurimento della redditività delle risorse finanziarie. Queste sono investite nelle Borse in declino e in titoli di Stato il cui rendimento è sceso persino sotto il tasso di inflazione per poter sostenere le economie in crisi. Tutto ciò sta consumando il risparmio delle famiglie e compromettendo la possibilità di investimenti futuri. Ma quanto questa crisi è ricollegabile al problema demografico?
Tutti riconoscono che la crisi demografica e l’invecchiamento della popolazione hanno prodotto effetti politici e sociali, e quindi economici e finanziari. Il più evidente è la crescita della spesa sociale sostenuta da contribuzioni divenute nel tempo insufficienti, con la conseguente necessità di aumentare o non ridurre la pressione fiscale.
La crisi demografica ha provocato la progressiva diminuzione della crescita del risparmio delle famiglie e della ricchezza finanziaria disponibile sui mercati per investimenti e finanziamenti. Il crollo della ricchezza finanziaria delle famiglie è stato in questi anni di quasi due terzi, mentre la vocazione al consumo di una crescente porzione delle famiglie le ha costrette persino a indebitarsi.
Per compensare gli effetti del deficit delle nascite nella creazione della ricchezza si è pensato di fare crescere il risparmio delle famiglie e la sua redditività creando maggiori efficienze nella gestione delle risorse economiche e più rigore nella spesa pubblica. Invece è successo proprio il contrario grazie alla disinvoltura con cui sono state gestite istituzioni e risorse finanziarie. La crisi dei mutui subprime è solo l’ultimo eccesso. La nazionalizzazione delle agenzie statunitensi di mutui Freddie e Fannie potrà rilanciare a breve le Borse ma potrebbe costare al contribuente americano fino a cento miliardi di dollari, mentre un anno fa il salvataggio della banca Bear Sterns ne costò trenta.
Questo processo potrà aggravarsi proprio per la tendenza futura della crisi demografica. Nel 2005 uno studio del McKinsey Global Institute ha previsto fino al 2024 una diminuzione continua del tasso di crescita dei flussi finanziari di circa il 36 per cento, con la conseguente immaginabile minore disponibilità di ricchezza finanziaria per lo sviluppo.
Quali scenari si possono ipotizzare? La speranza di poter usare la liquidità e la ricchezza create in grandi Paesi asiatici come la Cina e l’India si sta ridimensionando. Queste economie – che pure generano tassi di crescita delle attività finanziarie superiori al 10-15 per cento e che hanno in passato sostenuto il debito pubblico statunitense – per il futuro lasciano prevedere che investiranno al proprio interno o all’esterno per acquisire una posizione competitiva autonoma acquistando fonti di materie prime.
La correzione del deficit di popolazione attraverso politiche accelerate di immigrazione non sembra potere produrre a breve o medio termine effettivi risultati di compensazione. Aspetti di solidarietà a parte, l’immigrazione risolve certo le crescenti esigenze di mano d’opera, ma per molto tempo rappresenterà solo una percentuale limitata della popolazione dei Paesi europei capace di generare redditi. E anche la sua capacità di contribuire alla spesa sociale resterà marginale per molto tempo.
Rilanciare la fertilità è un eccellente progetto, ma a lungo termine, che richiede cioè 25-30 anni prima di produrre effetti. Tuttavia, se le famiglie potessero venire incoraggiate a riprendere fiducia nella crescita del numero di figli, da subito esse ritornerebbero a essere un motore di crescita della ricchezza perché si responsabilizzerebbero di più, si ingegnerebbero di più, risparmierebbero di più, investirebbero di più.
A breve termine invece possiamo solo imparare a diventare con dignità e intelligenza più poveri, meno consumisti e più efficienti, ma anche a sviluppare la nostra creatività personale, a contare di più su di noi e meno sull’assistenza pubblica, in modo da divenire più autonomi. Privandoci dei figli per sembrare più ricchi siamo diventati più poveri.
(©L’Osservatore Romano – 11 settembre 2008)