Nel 2004 Einaudi ha edito (tradotto purtroppo distrattamente) un volume che ripercorre le fasi di una ricerca molto interessante condotta dallo staff del fisico ungherese Albert-László Barabási (Indiana University) dal titolo Link. La scienza delle reti.
«Tutto fa parte di tutto» insegna Borges, citato dall’autore, secondo il quale «siamo tutti connessi» non solo nel mondo sociale ma anche a livello biologico-molecolare, sotto l’aspetto comunicativo (il web), da un punto di vista matematico e ancora in altri modi. L’interesse di Barabási è spiegare – divulgativamente, anche per non esperti – com’è nato il progetto di una scienza delle reti, come si è sviluppato e cosa può rivelare. A cavallo tra fisica, matematica e scienze sociali, la “scienza delle reti” invade ogni campo della cultura umana e, probabilmente, dell’intero universo. Per questo motivo può avere implicazioni rilevanti anche in ambiti come la medicina, l’economia, la politica o la filosofia. Se esistono progetti che coltivino l’intenzione di unire – più che dividere – il sapere umano e le sue scienze, uno di essi è certamente quello presentato in questo volume.
Cosa sono le reti? «Sono soltanto lo scheletro della complessità, i meccanismi su cui si articolano i processi che fanno pulsare il mondo» (p. 236, la penultima). E la complessità si fonda su un approccio olistico, antiriduzionistico – come chiarisce questo lungo quanto fondamentale passaggio: «il riduzionismo è la forza che ha guidato gran parte della ricerca scientifica del XX secolo. Per comprendere la natura, affermano i suoi sostenitori, occorre innanzitutto decifrarne le componenti. […] Per decenni, quindi, siamo stati abituati a vedere il mondo attraverso i suoi costituenti. Ci hanno insegnato a studiare gli atomi e le superstringhe per afferrare l’universo; le molecole per capire la vita; i geni dell’individuo per comprendere la complessità dei comportamenti umani; i profeti per individuare le origini di manie e religioni. Fra breve avremo esaurito tutto quello che c’è da sapere sui singoli pezzi. Eppure non ci siamo granché avvicinati alla comprensione della natura del suo insieme. La realtà è che […] inseguendo il riduzionismo ci siamo imbattuti nel muro della complessità. […] Nei sistemi complessi le componenti possono combaciare in così tanti modi diversi che ci vorrebbero miliardi di anni per provarli tutti. Eppure la natura assembla i suoi pezzi […] sfruttando le leggi onnicomprensive dell’autorganizzazione, le cui radici continuano a essere per noi un profondo mistero. […] Ci accorgiamo ormai di vivere in un mondo piccolo, in cui ogni cosa è collegata alle altre. […] Siamo arrivati a capire l’importanza delle reti» (pp. 7-8).
Gli albori di questa scienza risalgono probabilmente ai tempi del matematico russo Eulero (1707-1789) che pose le basi per l’attuale “teoria dei grafi”, «la chiave per comprendere il mondo complesso che ci circonda» (p. 14), nonché la teoria di quegli oggetti discreti – i “grafi” – che permettono di schematizzare situazioni o processi al fine di analizzarli in termini algoritmici. Successivamente due matematici ungheresi degli anni Venti del secolo scorso, Erdós e Rényi, studiarono a fondo i grafi e ne dedussero che i fenomeni complessi fossero di natura casuale, senza leggi. Si aggiunse a tali scoperte quella del sociologo Milgram dei “gradi di separazione” che misura la distanza che esiste tra due punti di una rete in base ai loro legami indiretti: tra due distanti sconosciuti, tra due pagine web in Internet o tra due molecole di una cellula. A sovvertire le poche certezze fin lì acquisite provvide la tesi dei “legami deboli” del sociologo Granovetter, secondo cui un soggetto ha maggiori probabilità di successo sociale all’aumentare del numero delle persone con cui non intrattiene rapporti stabili e profondi ma che conosce superficialmente: sotto quest’ottica il mondo è frammentario e non connesso casualmente come si credeva. Rilevante a tal proposito la scoperta degli hub o «connettori», che si deve a Gladwell, un giornalista del New Yorker. I connettori vengono da lui descritti come «una manciata di persone – disseminata in varie occupazioni – che possiede l’abilità davvero straordinaria di stringere un numero eccezionale di amicizie e di conoscenze» (p. 61) ma esistono in qualsiasi campo; ad esempio in Internet fungono da hub i motori di ricerca più visibili, nelle molecole delle cellule un hub è l’ATP. Contrariamente all’ipotesi del caos e dell’assenza di leggi nelle reti, da qui alla formulazione matematica di una legge il passo è breve: si deve infatti ad un’idea ispirata dal sociologo italiano Pareto la legge di potenza «a invarianza di scala», secondo la quale «pochi grandi eventi determinano la maggior parte delle azioni» (p. 79).
L’avvincente storia, ricostruita come un diario di viaggio, della scienza delle reti non finisce qui: si parla di «collegamenti preferenziali», di «fitness», di «fattore crescita», del tempo; si accenna anche alla vulnerabilità del sistema e ai modi per limitarla, dalla Microsoft all’attacco alle Torri Gemelle di New York, dai virus alla globalizzazione. Con aneddoti interessanti e stravaganti, Barabási introduce il lettore a questo mondo «piccolo» senza stancarlo, nonostante l’uso di formule matematiche che spesso scoraggiano ancora tanto pubblico. Partendo dalla presa di coscienza che «un sottile bisogno di sincronia pervade la natura intera» (p. 49), Link impone alla nostra attenzione lo studio delle reti con un interessante pronostico: «se il XX secolo è considerato il secolo della fisica, molti sono persuasi che il XXI sarà quello della biologia. […] Il prossimo sarà invece il secolo della complessità. Ma sarà anche il secolo delle reti biologiche. Se esiste un campo in cui la disciplina delle reti potrà innescare una rivoluzione quello è infatti la biologia» (p. 207), il che condurrà secondo l’autore ad una previsione totale delle patologie e a cure personalizzate in base al proprio specifico corredo genetico.
La domanda che però sorge di fronte a tale conclusiva fiducia deterministica punta alla ricerca dell’olismo con cui il volume aveva mosso i propri primi passi.
tratto da: sitosophia.org autore davide dell’ombra