La vicenda Alitalia continua a provocare molti dubbi e lasciare poche e dolorose certezze. La trattativa iniziata da ormai più di 30 ore tra i sindacati e la nuova compagnia aerea italiana è difficoltosa, poiché le parti sono molto distanti e le fasi di stallo sono infinitamente lunghe.
Gli imprenditori italiani chiedono un contratto unico che peggiorerebbe le condizioni dei lavoratori della vecchia Alitalia; i sindacati, suddivisi in nove sigle sindacali e grandi responsabili del fallimento dell’offerta francese, sono divisi, nonostante cerchino di ostentare unità. I piloti, che hanno maggiore forza contrattuale poiché troverebbero sul mercato un contratto sicuramente più conveniente da altre compagnie aeree sostitutive al vettore italiano, non hanno convenienza a chiudere la trattativa.
La responsabilità di questa situazione non deve essere ricercata nel breve periodo, ma deriva da una gestione fallimentare dell’azienda. Le “colpe” vanno suddivise tra politici e sindacati, che hanno voluto fare i manager di una compagnia aerea per troppi anni; questi due attori tuttavia non subiranno conseguenze proporzionate ai danni da loro provocati. Negli ultimi dieci anni Alitalia, fallita tecnicamente da diverso tempo, ha bruciato più di 3 miliardi di euro e questo “salvataggio” costerebbe più di 2 miliardi di euro ulteriori al contribuente italiano.
I dubbi sull’esito della trattativa sono enormi, ma è possibile individuare alcune certezze.
La prima riguarda la vendita degli asset di Alitalia alla nuova Compagnia Aerea Italiana: si configura come l’ennesimo spreco di denaro pubblico. La creazione della bad company, alla quale verrebbero conferiti i debiti del vecchio operatore di bandiera, e a cui la società guidata da Rocco Sabelli pagherebbe 400 milioni di euro e alla quale verrebbero lasciati i costi degli esuberi, è un’operazione molto dubbia. Come è possibile valutare 400 milioni di euro gli asset di Alitalia? Solamente gli slot, cioè i diritti di atterraggio, valgono ampiamente quella cifra; se inoltre viene limitata la concorrenza, come previsto dal decreto governativo dello scorso agosto, il valore degli slot aumenterebbe e potrebbe superare agevolmente il mezzo miliardo di euro.
Il commissario Augusto Fantozzi ha una grande responsabilità nella vendita e dovrebbe fare attenzione ad un’eventuale azione penale nei suoi confronti da parte dei creditori di Alitalia.
La seconda certezza riguarda sempre un’altra categoria di perdenti: le società aeroportuali di Milano, la SEA, e di Roma, Aeroporti di Roma. Il nuovo piano industriale presentato da Colaninno riduce i voli non solo rispetto al piano di Air France, ma anche rispetto a quello tanto contestato dell’ex amministratore delegato di Alitalia Maurizio Prato. La restrizione della concorrenza comporta inoltre un’ulteriore perdita di passeggeri per il sistema aeroportuale italiano.
Si vuole rendere più “appetibile” il piano industriale, penalizzando i viaggiatori italiani o meglio, si salva Alitalia a scapito degli italiani.
L’ultima certezza è condivisa dalla gran parte degli economisti: il fallimento di Alitalia sarebbe meno gravante per l’Italia. I costi di un eventuale fallimento sarebbero sicuramente inferiori non solo per i contribuenti italiani, ma anche per i viaggiatori italiani. I lavoratori di Alitalia sarebbero riassorbiti abbastanza velocemente da altre compagnie concorrenti che hanno sviluppato il mercato italiano negli ultimi dieci anni di più del 100 per cento e la maggiore concorrenza permetterebbe agli italiani di viaggiare a dei prezzi più contenuti.
La trattativa è appesa ad un filo. Questo filo in realtà collega politica, sindacati e degli imprenditori poco coraggiosi, e sarebbe molto meglio reciderlo al fine di evitare delle perdite inutili ai contribuenti.
tratto da: Istituto Bruno Leoni – autore: Andrea Giuricin