di Gianroberto Casaleggio
Il digital divide accompagna lo sviluppo di Internet sin dalla sua nascita. In sostanza il digital divide deriva dalla mancanza diffusa di accesso alla Rete con una velocità adeguata.
I Paesi con percentuale elevata di utenti e banda larga dispongono di un asset ineguagliabile per la loro innovazione e crescita. Oltre alla diffusione della conoscenza, possono infatti sviluppare l’e-commerce con la creazione di colossi come Google, Amazon e eBay, avviare nuove imprese come YouTube e Easyjet e ristrutturare le aziende, grazie alla ridefinizione dei processi in rete, con conseguenti taglio di costi ed efficienza.
La diffusione di Internet è uno strumento competitivo, probabilmente il più competitivo in questo momento storico. Le nazioni con il numero più alto di utenti Internet (1 miliardo e cento milioni nel mondo), secondo la società di analisi statistiche e dati di mercato Internet World Stats, sono: Stati Uniti (19%), Cina (12,3%), Giappone (7,7%), Germania (3,6%), India (3,6%) e Gran Bretagna (3,4%). Il dato va letto in modo differente per le nazioni in via di sviluppo come India e Cina con un tasso di penetrazione interno di Internet rispettivamente del 3,5% e del 10% e le nazioni occidentali con percentuali superiori al 60%.
La presenza di India e Cina in classifica dipende dalle loro popolazioni superiori al miliardo. Tracciare una linea e dividere il mondo con il digital divide è però un esercizio parzialmente corretto. Esistono infatti altre barriere insieme alla diffusione della tecnologia. Una di queste è la lingua, “language divide”. In Rete chi non conosce l’inglese è penalizzato.
La Rete non ha frontiere, pensare locale non porta risultati apprezzabili. Le prime cinque lingue della Rete sono l’Inglese (30%), il Cinese (14%), lo Spagnolo (8%), il Giapponese (7,9%) e il Tedesco (5,4%). Idealmente, per disporre delle informazioni in Rete, si dovrebbero conoscere almeno queste lingue, tra cui l’inglese è assolutamente necessario in quanto unica lingua realmente transnazionale, il nuovo esperanto di Internet. Vi è poi una ulteriore barriera per il reale utilizzo della Rete che è l’assenza di democrazia, che potremmo definire “political divide”.
Dove sono presenti le dittature si verificano due situazioni: l’assenza di Internet, o un suo utilizzo estremamente ristretto, o l’attuazione di mezzi coercitivi come leggi ad hoc, controlli e filtri. Nel mondo la Corea del Nord ha la leadership assoluta per con nessun utente Internet, seguono Cuba (2%) e Uzbekistan (3%). Difficile prevedere per questi Paesi uno sviluppo economico con il permanere di questa situazione. Altri Paesi come la Cina utilizzano strumenti di controllo sofisticati che, da un punto di vista tecnologico, li pongono all’avanguardia nel controllo della Rete. Questi Paesi sono aiutati spesso da società statunitensi che mettono a disposizione la loro tecnologia per entrare in nuovi mercati.
La Cina dispone di un “great firewall” che richiama la Grande Muraglia Cinese e ha come scopo di bloccare l’accesso a decine di migliaia di siti e il controllo dei contenuti presenti sulla Rete.
L’adozione di meccanismi di filtri per limitare la possibilità degli utenti sta diventando una pratica usuale nel mondo. Per la società OpenNet Initiative l’utilizzo di filtri a scopo di censura si sta diffondendo in particolare in Medio Oriente e in Asia.
Per limitare i danni in caso di pubblicazioni non lecite si può consultare il sito Electronic Frontier Foundation che dispone di un’area sui diritti dei blogger e di una guida legale per chi pubblica informazioni on line. Se la diffusione della Rete e della conoscenza rappresentano il futuro dell’economia, già oggi si può prevedere chi ne farà parte e chi no. Tecnologia, lingua e democrazia sono i tre assi su cui si sviluppa Internet.
A guidare il gruppo in futuro, oltre ai Paesi Occidentali ci sarà, tra i grandi Paesi, sicuramente l’India. Per chi applica la censura il futuro è invece molto incerto.
tratto da: www.casaleggio.it